Sta per finire l’era dello smart working negli uffici della pubblica amministrazione. Il parziale abbandono del lavoro da remoto potrebbe poggiare su un cambiamento grazie a un correttivo introdotto dal decreto Green Pass. A conti fatti la presenza fisica sul posto di lavoro tornerebbe a essere la regola e lo smart working ridiventerebbe l’eccezione, al contrario di quanto avvenuto finora a partire da marzo 2020, ovvero dall’inizio della pandemia e dei tanti lockdown.
«Dei 3,2 milioni di dipendenti pubblici gran parte ha continuato a lavorare sempre in presenza: la sanità, le forze dell’ordine. La scuola sta per ripartire. Adesso è bene che anche tutti gli altri tornino, per sostenere la ripresa del Paese», dice il ministro della Pubblica amministrazione Renato Brunetta che si dice convinto che un’ulteriore spinta alla crescita della ricchezza nazionale potrebbe venire da una riduzione sostanziale del ricorso allo smart working tra i dipendenti pubblici. Secondo il ministro bisognerebbe trasformare la modalità di lavoro agile in una “eccezione” stabilita dai dirigenti in base alle singole situazioni e alle esigenze delle diverse amministrazioni.
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Ma lo smart working non sarà abolito: «Resterà per una quota fino al 15%» .«Il Paese sta crescendo al 6% – spiega Brunetta – dentro questa crescita ci sono consumi, investimenti, produzione industriale, esportazioni, c’è un Paese che comincia ad avere un metabolismo forte e dinamico dopo il lockdown. La burocrazia è altrettanto importante per lo sviluppo. E tornare al lavoro in presenza è una necessità di buon senso. Io vorrei che la burocrazia accompagnasse la crescita, che fosse un catalizzatore della ripresa».
Ma non tutti sono d’accordo. Tiziano Treu, presidente del Cnel è convinto che lo smart working sia «un modello che funziona», con lui anche il responsabile dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, Mariano Corso, che afferma che «dettare regole rigide è sintomo di scarsa maturità». Sulla stessa linea il World Economic Forum che calcola che negli Usa, il ricorso massiccio allo smart working ha portato ad un incremento della produttività del lavoro pari al 4,6% così come un recente studio di Pwc che stima che se tutte le mansioni potenzialmente eseguibili da remoto venissero effettivamente svolte in modalità agile questo darebbe al nostro Pil una spinta dell’1,2%.
È illuminante, al riguardo, anche la posizione dell’Osservatorio del Politecnico di Milano che lo definisce come «una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati». I dati raccolti dal Politecnico di Milano indicano incrementi di produttività associati all’adozione di tale modello nell’ordine del 10%, a cui si associano minori costi per gli immobili tra il 30 e il 50%, per non parlare della riduzione della pressione antropica sui centri delle grandi città e la liberazione del tempo dalla schiavitù del pendolarismo. Dal punto di vista manageriale occorre abbandonare la tradizionale logica del controllo per passare ad un’organizzazione basata sugli obiettivi, una logica responsabilizzante, che concede autonomia e trasmette fiducia ai lavoratori, i quali smettono di essere meri esecutori e diventano co-produttori.
Secondo una recente indagine della Cisl il 58% dei lavoratori si dice soddisfatto della transizione da lavoro tradizionale a lavoro agile e solo il 3% sembra nostalgico verso modalità più tradizionali. Sappiamo da tempo che un lavoratore più soddisfatto è anche un lavoratore produttivo. Ma allora perché la nostra pubblica amministrazione si prepara ad un passo indietro? Il ministro Brunetta assicura che non si tornerà al vecchio mondo analogico: «Le lezioni positive che abbiamo appreso in questi 18 mesi di tragedia non si cancellano mica. Per esempio: una conferenza dei servizi con 15 amministrazioni si potrà fare ancora da remoto, ma stando ognuno nel suo ufficio, in maniera efficiente e con gli strumenti dedicati, non da casa».
Tornare in presenza per la Pa sarà un percorso inevitabile, secondo il ministro, anche per il carattere sperimentale e del tutto imprevisto dell’esperienza: «Lo smart working non ha avuto una regolazione contrattuale, nessuna garanzia di sicurezza o di disconnessione. Non c’è stata neppure nessuna piattaforma ufficiale di tipo informatico, digitale. È stato uno smart working all’italiana. Condotto con grande intelligenza e talvolta abnegazione, ma senza adeguate infrastrutture e senza regole contrattuali».
Le novità arriveranno presto. «L’ipotesi che auspico prevede una quota fino al 15% di smart working, anche dopo il ritorno in presenza. Abbiamo inoltre sbloccato i rinnovi contrattuali per fissare le regole del gioco, per definire le modalità di lavoro agile per la pubblica amministrazione. Sarà questione di due mesi al massimo. Saranno definite le regole su disconnessione, produttività, misurazione dei risultati. Poi c’è da costruire la piattaforma informatica. Prenda la scuola: ogni classe ha fatto la Dad a modo suo. Io vorrei un software omogeno, un’architettura ben strutturata. C’è un mondo da costruire per un’Italia migliore. E c’è bisogno del contributo di tutto il capitale umano pubblico».