Nemmeno la mente più visionaria avrebbe potuto immaginare uno spettacolo dell’orrore così grandioso. Eppure quell’11 settembre di vent’anni fa ci trovammo tutti a guardarlo attoniti, in diretta tv, senza poter distogliere lo sguardo. Un giorno che ha cambiato la storia, si dice. Sicuramente le conseguenze di quegli attentati sono state e continuano ad essere pesantissime. Sulle nostre vite è calata l’ombra del terrorismo con il timore continuo e immanente di attentati. Ma dalle macerie delle Torri Gemelle si sono sprigionati devastanti effetti geopolitici come l’invasione dell’Afghanistan, conclusasi 11 giorni fa. Dopo due decenni di guerra, dunque, non è cambiato nulla: gli Usa hanno lasciato l’Afghanistan in mano ai talebani che lo governavano prima dell’intervento armato, gli stessi che hanno protetto Osama Bin Laden mentre Washington gli dava la caccia.
L’11 settembre 2001, alle 8.46, un volo dell’American Airlines partito da Boston con destinazione Los Angeles viene dirottato e colpisce la Torre Nord del World Trade Center di New York, tra il 93° e il 97° piano. Ma se in un primo momento si pensa a un incidente, alle 9.03 lo scenario è chiaro. Un altro aereo finisce nella Torre Sud, tra il 77° e l’85° piano. Viene avvertito il presidente George W. Bush che quella mattina si trova in una scuola elementare in Florida e l’America capisce di «essere sotto attacco».
Il numero delle vittime dei primi due attentati è enorme: 2.753 persone. Ma l’incubo non è finito. Alle 9.37 un altro aereo si schianta sul Pentagono e nell’impatto muoiono i 64 passeggeri a bordo e 125 persone che si trovavano dentro la struttura. Alle 10.03 l’ultimo aereo cade in un campo in Pennsylvania, probabilmente l’obiettivo era la Casa Bianca o il Campidoglio, ma per motivi ancora non chiari, non c’è mai arrivato, si pensa grazie anche a una rivolta dei passeggeri scoppiata a bordo. Muoiono le 40 persone sul volo. Quattro dirottamenti, 19 terroristi di al-Qaida, quasi tremila i morti. Manhattan è avvolta da una nube bianca, c’è un rumore costante di sirene di ambulanze.
Nei giorni a seguire si scava senza sosta sperando di trovare vita sotto quelle montagne di macerie (1,8 milioni solo le tonnellate di detriti) ma più passano le ore e più la speranza lascia il posto alla disperazione. Quella disperazione della gente che è finita in mondovisione. L’11 settembre 2001 ci troviamo tutti incollati alla tv per guardare uno dei momenti più atroci della storia. «Sembra un film», commentiamo tutti. Ma quel film rimarrà impresso per sempre nella memoria collettiva tanto che, a distanza di vent’anni siamo ancora qui a chiederci: «E tu dov’eri?». Come se fosse importante dove ognuno di noi si trovasse in quelle ore. Forse lo è. Perché in modo diverso, avendo chiaro che quel giorno sono i cittadini di New York a pagare il prezzo più alto, l’11 settembre ha cambiato la storia di tutti. E oggi dopo aver metabolizzato quello che è successo, dopo aver imparato a convivere con quel “nemico invisibile”, in Occidente è tornata la paura. Con il ritorno dei talebani in Afghanistan è tornato anche l’incubo del terrorismo.
In risposta agli attacchi alle Torri Gemelle il 20 settembre 2001 gli Stati Uniti dichiarano la «guerra al terrore»: «Iniziamo con al-Qaeda, ma non è finita lì», dice al Congresso l’ex presidente degli Stati Uniti George W. Bush. «Non finiremo fino a quando ogni gruppo terroristico di portata globale è stato trovato, fermato e sconfitto». L’invasione americana dell’Afghanistan cominciò il 7 ottobre 2001 con il consenso dell’Occidente: i talebani rifiutarono di consegnare agli Stati Uniti Osama bin Laden, mente degli attentati, e George W. Bush diede avvio all’operazione Enduring Freedom che in poche settimane spazza via la resistenza degli studenti coranici che erano al governo dal 1996 e che sostenevano Al Qaeda. La prima fase del conflitto, condotta con l’impeto della vendetta, si concluse a maggio del 2003, quando gli Usa annunciarono che «i combattimenti principali erano conclusi» e che da allora sarebbe cominciata la ricostruzione del Paese. In realtà, invece, la coalizione di 40 Paesi guidata dagli americani si scontrò con un ritorno dei talebani, che cominciarono una guerriglia contro le forze alleate in Afghanistan che si protrasse per anni.
Poi arrivò Obama e cominciò a soffiare un vento nuovo sull’Afghanistan: voleva portare a termine una occupazione che durava ormai da 7 anni. L’obiettivo iniziale era di andarsene entro luglio 2011 e invece cominciò a rimandare una scadenza che non arriverà mai durante i suoi mandati. Anche Donald Trump fu eletto nel 2016 promettendo il ritiro delle truppe e la fine della guerra. Cominciò inviando soldati, poi fece marcia indietro e, a febbraio 2019, il governo americano cominciò in Qatar i negoziati con i talebani stilando la bozza di un accordo di pace che prevedeva il ritiro delle forze americane e internazionali dal Paese e, dall’altra parte, l’obbligo per gli integralisti islamici di impedire che altri gruppi jihadisti operassero nel Paese. L’accordo fu firmato il 29 febbraio del 2020 a Doha senza il governo afghano, che attraverso il presidente Ashraf Ghani criticò l’intesa: oltre a un immediato scambio di prigionieri, il testo prevedeva un ritiro delle truppe entro 14 mesi. L’amministrazione Trump cominciò a ridurre le truppe, che a luglio 2020 erano ormai 8.600, annunciando il ritiro completo per il 1° maggio 2021.
Nel frattempo, però, alla Casa Bianca è arrivato Joe Biden, il terzo presidente eletto promettendo la fine delle guerre americane. Ad aprile, insediato da appena due mesi, Biden ha posticipato il ritiro degli ultimi 2.500 soldati al 31 agosto 2021. Ma prima che gli americani andassero via, sono tornati i talebani. E in molti si chiedono a cosa sono serviti due decenni di guerra. La «guerra al terrore» post 11 settembre non ha liberato il mondo dal terrorismo e ancora oggi, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti di Kabul, quel terrorismo rimane una minaccia. Infatti, con il ritiro dell’esercito americano dall’Afghanistan, una delle preoccupazioni è che alcuni gruppi estremisti trovino più spazio per proliferare e organizzarsi.