Il governo dei talebani dice che «lo sport non è necessario, quindi le donne non devono praticarlo». Le donne sono tagliate fuori anche dalla politica e relegate ai margini della società. «Una donna non può fare il ministro. È come se le mettessi al collo un peso che non può portare. Non è necessario che le donne facciano parte del governo, devono fare figli». Il portavoce talebano Sayed Zekrullah Hashim risponde così al giornalista di ToloNews Natiq Malikzada che gli chiede informazioni sul nuovo esecutivo afghano ad interim, nel quale non sono presenti donne.
Soltanto poche settimane fa i nuovi padroni talebani promettevano magnanimi che il nuovo Afghanistan sarebbe stato accondiscendente nei confronti delle donne e della società civile sviluppatasi negli ultimi vent’anni sotto l’influenza culturale e sociale della coalizione occidentale a guida americana. Ebbene, non era vero. Gli ultimi giorni sono stati una drammatica doccia fredda per chiunque si fosse lasciato illudere. La presentazione del loro nuovo governo ha riportato in auge figure e modi di governare legati a filo doppio con il regime talebano del 1996.
Uno dopo l’altro tornano i divieti scardinati dopo l’occupazione statunitense del 2001. Con la riapertura delle università, nelle aule sono comparse pesanti tende a separare gli studenti dalle studentesse quando non sono possibili classi interamente al femminile: un’anticipazione della segregazione di genere che rischiano presto di subire milioni di donne in Afghanistan. Le donne che frequentano college e università private dovranno indossare l’abaya e coprire capelli e volto con il niqab. In un lungo documento emesso dall’autorità educativa si prevede che le studentesse debbano avere insegnanti donne oppure, se ciò non fosse possibile, “uomini anziani” di buon carattere. Donne e uomini dovranno usare entrate e uscite separate e le ragazze dovranno finire le lezioni cinque minuti prima dei maschi per non mescolarsi a loro o restare nelle aule fino a quando gli studenti maschi non avranno lasciato l’edificio.
I talebani hanno annunciato di voler vietare lo sport alle donne afghane. In un’intervista all’emittente australiana Sbs, il vice capo della commissione culturale dei talebani, Ahmadullah Wasiq, ha affermato che lo sport femminile non è né appropriato né necessario. «Non credo che alle donne sarà permesso giocare a cricket perché non è necessario che le donne giochino a cricket – ha detto Wasiq – Nel cricket potrebbero affrontare una situazione in cui il loro viso e il loro corpo non saranno coperti. L’Islam non permette che le donne siano viste così. È l’era dei media, ci saranno foto e video, e poi la gente li guarderà. L’Islam e l’Emirato Islamico d’Afghanistan non consentono alle donne di giocare a cricket o praticare un tipo di sport in cui vengono esposte». I primi effetti della fatwa sullo sport femminile potrebbero vedersi molto presto. E nell’Afghanistan in cui il cricket è sport nazionale, a rischio c’è anche l’atteso match previsto a novembre in Australia tra le due nazionali maschili per l’International Cricket Council, che richiede a tutti i suoi 12 membri di avere anche una squadra femminile.
«Alle afghane – ha aggiunto Wasiq – sarà consentito uscire di casa solo per soddisfare i bisogni essenziali, come fare la spesa, e lo sport non è tra questi». Ad ascoltarlo tornano alla mente tutti i lenti progressi compiuti dalle donne, ma in realtà dall’intera società afghana, nei primi anni 2000: la nascita di una nuova squadra di basket femminile, l’apertura di ogni palestra alle donne, le neo-giornaliste assunte nel proliferare di giornali, radio e televisioni, l’apparire sul mercato del lavoro di professioniste pronte a prendere il proprio posto in uffici che sino ad allora erano stati solo per uomini. Tutto cancellato, di nuovo. I talebani hanno vietato anche le manifestazioni non autorizzate, ordinando di essere informati 24 ore prima circa gli scopi e gli slogan delle proteste.