Dopo aver incassato il primo anticipo, di qui a fine anno il governo dovrà rispettare i 51 obiettivi indicati nelle oltre 2.400 pagine di Piano nazionale di ripresa e resilienza inviato a Bruxelles. Ad oggi di quei “target” ne sono stati centrati solo 13, ma mancano ancora quelli legati alle riforme, che rappresentano evidentemente la sfida maggiore. Soprattutto perché alcuni appuntamenti sono già stati mancati. Ecco perché, con una informativa affidata in Consiglio dei ministri al sottosegretario Roberto Garofoli e al ministro Daniele Franco, Mario Draghi dà una sferzata ai ministri perché agiscano nei tempi. «Dobbiamo mantenere la stessa ambizione e determinazione che abbiamo avuto negli scorsi mesi», spiega il premier, ponendo l’accento sulle riforme.
Il Pnrr vale 191,5 miliardi da qui al 2026, prevede 151 investimenti e 63 riforme: per ciascuno di essi sono già indicati rigidi tempi di realizzazione, che condizionano l’erogazione delle risorse. In ballo nel 2021 ci sono 13,8 miliardi. Garofoli e Franco portano in Cdm il risultato del primo monitoraggio sui 24 investimenti e le 27 riforme da adottare quest’anno e annunciano la convocazione nelle prossime settimane di più cabine di regia settoriali con i ministri competenti e di una cabina di regia anche con gli enti locali per verificare l’avanzamento dei target da qui al primo semestre 2022, impostare il lavoro di ciascun ministero e individuare ostacoli e criticità. Altrimenti la prossima tranche di 24,1 miliardi (dopo l’anticipo di agosto di 24,9 miliardi) prevista per l’inizio del 2022 è a rischio.
Tra i 13 obiettivi centrati, cinque sono investimenti (pari al 21% del totale) e otto le riforme (pari al 30% del totale). Tutti i ministeri dovranno mettere a punto «un preciso piano di adozione delle riforme e di compiuta realizzazione degli interventi da attuare entro il 31 dicembre 2021, in modo da consentire un costante monitoraggio delle specifiche tappe da rispettare». Una timeline, quindi, con impegni verificabili passo dopo passo. Al 22 settembre, secondo la relazione presentata in Cdm, il più virtuoso sul fronte degli investimenti è il ministero della Giustizia. La Funzione pubblica di Brunetta ha centrato un obiettivo su due. Un solo traguardo raggiunto anche per lo Sviluppo economico di Giancarlo Giorgetti e gli Esteri Luigi Di Maio. Altri nove ministeri, invece, registrano lavori in corso.
Passando alle riforme, si distinguono il ministro Brunetta con tre obiettivi su tre e la ministra per il Sud di Mara Carfagna, che ha completato il lavoro sulle Zes. Il ministero delle Infrastrutture e delle mobilità sostenibili di Enrico Giovannini è a due riforme su cinque, mentre il ministero dell’Università di Cristina Messa e quello dell’Economia devono completare ancora le due riforme previste. Tre riforme da fare aspettano poi sia la Transizione ecologica di Cingolani sia la Giustizia di Cartabia. Lavori in corso anche per la riforma attesa dal ministero del Lavoro di Andrea Orlando e Anpal sulle politiche attive.
Mentre i primi 24,9 miliardi di euro che ad agosto Bruxelles ha inviato a Roma, a titolo di anticipo sul Pnrr (il 13% dei 191,5 miliardi a disposizione dell’Italia), sono andati a sostituire risorse nazionali già stanziate nel Bilancio per progetti in corso di realizzazione. In particolare, 1,7 miliardi sono andati a coprire spese per investimenti di Rfi (Rete ferroviaria italiana) fatti nel 2020; 1,6 miliardi a finanziare il programma Transizione 4.0, ovvero i crediti d’imposta sugli investimenti delle imprese in tecnologie digitali, innovazione e formazione; 1,7 miliardi al fondo Simest per internazionalizzazione delle piccole e medie imprese e poco meno di un miliardo all’alta velocita ferroviaria in Liguria e sulla Brescia Venezia. Ma altre risorse dovranno essere utilizzate perché le regole del Next generation Eu prevedono che dei 24,9 miliardi già assegnati all’Italia almeno 15,7 vengano spesi entro il 31 dicembre 2021.