È la partita delle partite, il passaggio politico più delicato dei prossimi mesi. A partire da metà gennaio il Parlamento potrà essere convocato in seduta comune per l’elezione del presidente della Repubblica. Il totonomi è iniziato, candidature più o meno credibili, spesso utilizzate solo per testare le reazioni cercare di trovare una quadra più o meno plausibile sul successore di Mattarella. Da qualche giorno il nome di Gentiloni prende quota per il Quirinale. E a lavorare su di lui è Matteo Renzi. C’è chi racconta che è per parlare di lui, se non con lui, che la scorsa settimana è volato a Bruxelles a incontrare la commissaria europea alla Concorrenza Margrethe Vestager.
Se Gentiloni dovesse dimettersi dalla Commissione, al suo posto potrebbe andare un esponente di Forza Italia. La cosa non piacerebbe al Pd ma aiuterebbe il partito di Silvio Berlusconi a votarlo alla presidenza della Repubblica. Parla di Paolo Gentiloni come di «un ottimo nome per il Colle» anche Andrea Marcucci del Partito Democratico. Un profilo che secondo il senatore dem sarebbe in grado di unire «tutte le diverse sensibilità del Pd». E non solo: «Le persone equilibrate e di buon senso, come il commissario europeo, trovano sempre l’attenzione dovuta anche negli altri schieramenti», aggiunge Marcucci. Insomma, Gentiloni potrebbe raccogliere consensi anche fuori dal Partito democratico.
Ma Matteo Renzi vuole rendersi protagonista anche di questa scelta politica. Cosa che gli riuscì nel 2015 da segretario del Pd e presidente del Consiglio con l’elezione proprio di Mattarella, anche a costo di rompere il patto sulle riforme costituzionali che aveva stretto con Silvio Berlusconi, pagandone forse lo scotto con la bocciatura referendaria del dicembre 2016. Certo, la posizione di Renzi oggi non è quella del 2015, ma anche da leader ridimensionato com’è, a capo di un partitino che non supera il 2% dei voti nei sondaggi, egli ha mostrato nei mesi scorsi di sapere e potere promuovere operazioni complesse come la rimozione di Conte da Palazzo Chigi e l’arrivo di Mario Draghi.
La “pace di Bruxelles” annunciata da Repubblica ha forse qualcosa di enfatico, ma è pur importante che i due siano tornati a cercarsi, a incontrarsi e a parlarsi dopo la brusca interruzione dei rapporti avvenuta nel 2017, quando Gentiloni fece asse con Mattarella e non assecondò la richiesta di Renzi di sciogliere le Camere dopo la sconfitta referendaria. Nell’idea di Renzi il governo Gentiloni doveva servire da ponte per andare al voto. E invece il governo durò fino a fine legislatura, e non permise all’ex premier umiliato di cercare la rivincita alle urne.
Ma più che il passato conta il futuro. Renzi punta a lanciare il nome del commissario prima di Enrico Letta, quindi intestandosi la scelta sottraendola il segretario Pd. Inoltre, Gentiloni è rimasto in ottimi rapporti con gli ex colleghi parlamentari e ministri, forse non del tutto con Dario Franceschini ma certamente con Carlo Calenda.