La Commissione europea ha ritirato le linee guida sulla comunicazione inclusiva che avevano innescato la polemica sull’uso della parola Natale. La commissaria all’Uguaglianza, Helena Dalli, ha fatto sapere che il documento «non è maturo e non raggiunge gli standard qualitativi della Commissione europea», e perciò ha bisogno di «maggiore lavoro».
«L’iniziativa delle linee guida aveva lo scopo di illustrare la diversità della cultura europea e di mostrare la natura inclusiva della Commissione. Tuttavia, la versione pubblicata delle linee guida non è funzionale a questo scopo. Non è un documento maturo e non va incontro ai nostri standard qualitativi. Quindi lo ritiro e lavoreremo ancora su questo documento», ha detto Dalli. Le linee guida, in tutto 32 pagine, incitavano per esempio a usare la formula “Buone feste” invece di “Buon Natale” per non discriminare nessuno. Contro le linee guida si erano schierati tra l’altro Lega e Fratelli d’Italia. «L’Europa cancella le nostre radici cristiane», è la trincea issata da Lega e Fdi. Mentre a Strasburgo l’azzurro Antonio Tajani aveva inoltrato immediatamente un’interrogazione scritta alla Commissione per chiedere di modificare le indicazioni.
Il documento della Commissione dal titolo «Linee guida della Commissione europea per la comunicazione inclusiva – #UnionOfEquality» elencava una serie di linee guida in cui si consigliava ai funzionari della Commissione l’uso di un linguaggio inclusivo, cioè non discriminatorio, nei documenti ufficiali della stessa Commissione europea. Nell’introduzione diceva che tutte le persone hanno diritto a essere «trattate allo stesso modo», e quindi a essere «incluse e rappresentate» nel discorso pubblico indipendentemente da genere, origine etnica, religione o credo, disabilità, età o orientamento sessuale. Si diceva che le parole e le immagini che si usano quotidianamente nella comunicazione trasmettono «messaggi su chi siamo e su chi non siamo», rivelano i nostri pregiudizi e «possono perpetuare pregiudizi negativi e stereotipi». Si spiegava, poi, che l’uso di un linguaggio non inclusivo «può legittimare o persino incoraggiare l’emarginazione e la discriminazione». Stereotipi e pregiudizi «influenzano» infatti «i comportamenti individuali e collettivi» che possono a loro volta causare «danni permanenti».
A partire da queste premesse, nel documento si consigliava, dunque, l’uso di nomi e pronomi neutrali. Piuttosto che «he» o «she» (egli o ella), meglio usare un più generico «they» (loro). Mai, inoltre, salutare una platea con «ladies and gentlemen» ma presentarsi semplicemente con «dear colleagues». Sotto accusa finivano anche vocaboli come «marito», «moglie», «padre» o «madre», sostituiti da «partner» o «genitori». E la neutralità, per la Commissione, doveva valere anche per le feste religiose. Usando un generico «festività» e non il nome della festa in questione.