Il 6 gennaio 2021 il mondo assiste a una delle pagine più buie della storia americana. Migliaia di sostenitori estremisti del repubblicano Donald Trump assaltano Capitol Hill, a Washington, mentre il Congresso è riunito per certificare la vittoria di Joe Biden alle elezioni presidenziali. Scalano i muri esterni e le terrazze, sfondano porte e finestre, e fanno irruzione nel palazzo. Poche ore prima, nel parco vicino alla Casa Bianca, Trump aveva esortato la folla a “combattere” contro quello che aveva definito furto delle elezioni.
Un anno di indizi, documenti, testimonianze. Ma non ci sono ancora risposte definitive alle domande chiave sull’assalto del 6 gennaio. A cominciare dalle più importanti: c’era un piano concordato con la Casa Bianca? Fu una manovra sovversiva concepita da Donald Trump o la situazione sfuggì di mano anche all’ex presidente? I filoni di indagine sono due. Da una parte il lavoro investigativo dell’Fbi e della magistratura. Dall’altra la ricostruzione dei fatti e del contesto politico a opera della commissione parlamentare insediata il 24 giugno 2021 dalla speaker della Camera, Nancy Pelosi. Ne fanno parte nove deputati: sette democratici e due repubblicani, Liz Cheney e Adam Kinzinger, che si sono dissociati dal boicottaggio deciso dalla leadership trumpiana.
Venerdì 31 dicembre, il procuratore generale di Washington, Matt Graves, ha fatto il punto sui risultati raggiunti finora. Il 6 gennaio 2021 una folla di almeno 30 mila persone ascoltarono prima il comizio di Trump e poi marciarono verso Capitol Hill. L’Fbi ha stimato che circa duemila militanti parteciparono attivamente all’assalto del Congresso. L’attenzione si è concentrata su tre formazioni: «Proud Boys», «Oath Keepers» e, da ultimo, «1st Amendment Praetorian». I tumulti causarono la morte di un poliziotto e di quattro manifestanti. Il procuratore Graves ha precisato che, al momento, «sono stati incriminati 725 individui con diverse accuse». Di questi 225 dovranno rispondere di «aggressione o resistenza a pubblico ufficiale»; 75 avevano con sé «armi potenzialmente letali». Oltre 140 agenti furono feriti. Circa 165 imputati si sono dichiarati colpevoli di vari reati. Per il momento i tribunali ne hanno giudicati 70: 31 sono in prigione; 18 agli arresti domiciliari; 21 in libertà vigilata.
In parallelo si sta muovendo la commissione di inchiesta della Camera che ha già raccolto la versione di 300 testimoni ed esaminato 35 mila documenti, nonostante le cause intentate dagli avvocati trumpiani e il rifiuto di collaborare di personaggi come lo «stratega» Steve Bannon e l’ex capo dello staff della Casa Bianca, Mark Meadows. La commissione ha mobiliato 40 specialisti che stanno esplorando tre piste: i possibili collegamenti tra le frange più violente e gli organizzatori dei comizi; il legame tra questi organizzatori sul campo e i consiglieri dell’ex presidente, compresi i parlamentari; il ruolo della Casa Bianca, cioè di Trump e della sua famiglia.
Tutta l’attività investigativa a un certo punto potrebbe bussare alle porte di Mar-a-Lago, la residenza dell’ex presidente. Trump è sfuggito all’impeachment grazie al voto dei repubblicani al Senato, il 13 febbraio 2021. Ma la ricostruzione dei fatti lascia pochi dubbi: il leader della Casa Bianca ha incoraggiato l’assalto. La commissione parlamentare ha diffuso le mail, gli sms inviati dai consiglieri al presidente, compresi quelli del figlio Donald Jr. Tutti, anche Ivanka Trump, gli chiedevano di bloccare i disordini con un appello pubblico. Trump lo fece con grande ritardo, quando ormai il Campidoglio era in balia dei miliziani. Gli aspetti da chiarire sono tanti. Trump, per esempio, ignorò per ore la richiesta di mandare rinforzi. La commissione presenterà un rapporto finale nei prossimi mesi.
Intanto, Donald Trump ha cancellato la conferenza stampa prevista per giovedì 6, giorno dell’assalto a Capitol Hill. L’ex presidente ha inviato una mail ai fedelissimi: «Alla luce del totale pregiudizio e disonestà che animano la faziosa Commissione dei democratici, più due repubblicani falliti, e dei falsi media, cancello la conferenza stampa di giovedì. Invece parlerò di molti di questi importanti argomenti nel mio comizio di sabato 15 gennaio in Arizona». Trump prosegue accusando i media di essere «complici» di una «grande operazione di copertura» organizzata dai democratici per «nascondere l’evidenza». Quale? Il «vero crimine del secolo» è avvenuto il 3 novembre 2020, con «la frode delle elezioni presidenziali».
A questo punto parlano solo il presidente Joe Biden e la vice Kamala Harris. Trump, comunque, continua a tenere inchiodati i due schieramenti nelle rispettive trincee. Basta scorrere i suoi messaggi che corrono sulla rete, anche se banditi da Twitter e da Facebook: «il grande furto delle elezioni»; «Joe Biden sta mandando in rovina la Nazione»; solo «il movimento dei patrioti», cioè solo i trumpiani, possono rimediare. In Arizona, dunque, Trump potrebbe anche rivelare a che punto sia la preparazione per la rivincita del 2024. A Washington nessuno dubita che si ricandiderà alle primarie. Solo i magistrati potrebbero impedirglielo.