Allarme per i rincari nella busta della spesa: pasta, pane, farina ma anche tanti altri prodotti lavorati sono saliti del 38%. A causa della fiammata del prezzo del grano e dell’aumento della bolletta energetica. Il rischio è di un 2022 più salato, con la paura che gli aumenti possano diventare strutturali e pesare profondamente sul budget delle famiglie.
Gli effetti già si vedono. Un chilo di pasta, che a settembre la grande distribuzione comprava a 1,10 euro, ora ne costa 1,40. E per la fine di gennaio arriverà a 1,52 euro. Un aumento del 38%. A dirlo è Vincenzo Divella, amministratore delegato del gruppo pugliese, in un’intervista rilasciata al Sole 24 Ore: «I primi 30 centesimi li abbiamo dovuti chiedere dopo l’estate, per far fronte all’aumento vertiginoso del costo della nostra principale materia prima, cioè il grano. Tra giugno e oggi, il prezzo del grano alla borsa di Foggia è cresciuto del 90%. Un rincaro che non avremmo mai potuto ammortizzare da soli, basta pensare che per noi la semola rappresenta il 60% di tutto il costo di produzione della pasta».
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La situazione è peggiorata nei mesi successivi: «Con l’arrivo dell’autunno, poi, ci si sono messi tutti gli altri rincari: il costo del cellophane è aumentato del 25%, il gas del 300%, l’elettricità anche. Per questo a gennaio abbiamo chiesto alla grande distribuzione altri 12 centesimi al chilo. Un aumento, questo, che dovrebbe diventare effettivo con il rinnovo degli ordini alla fine di questo mese». E secondo Divella potrebbe non essere finita qui: «La verità è che i prezzi potrebbero aumentare di nuovo. A dicembre gli stabilimenti produttivi si sono fermati per 15 giorni e nessuno ha comprato grano. Ma già ieri, alla borsa merci di Bari, la prima che si è riunita dopo il Capodanno, c’è stato un aumento del 6%. I pastifici riaccendono i motori, e subito il prezzo del grano risale».
Dopo anni di stallo, il mercato del grano duro sta vivendo una fiammata con i valori cresciuti del 70% da giugno a oggi. L’andamento è da ricondurre al forte sprint delle quotazioni dell’energia sui mercati globali. Gli effetti non si sono fatti attendere. In Italia i costi delle semine sono praticamente raddoppiati sull’onda della salita del 50% del prezzo del gasolio necessario alle lavorazioni dei terreni. Non c’è solo questo aspetto. Ad aumentare sono anche i costi dei mezzi agricoli, dei fitosanitari e dei fertilizzanti che arrivano anche a triplicare.
L’allarme arriva anche da Coldiretti che evidenzia che gli effetti del balzo dei costi energetici colpisce l’intera filiera: dai campi, all’industria, fino ad arrivare agli scaffali di pasta e pane. «Nonostante questo, il grano duro italiano è pagato agli agricoltori nazionali meno di quello proveniente dall’estero che pesa per il 40% sulla produzione di pasta – dice Coldiretti – La produzione importata in Italia, soprattutto dal Canada, è ottenuta peraltro con l’uso del diserbante chimico Glifosato in preraccolta, vietato in Italia. Un’anomalia che ha spinto il record degli acquisti di pasta con grano 100% italiano reso riconoscibile dall’obbligo di etichettatura di origine».
Il fenomeno non riguarda soltanto il nostro Paese ma è un andamento globale. Sul trend pesando diversi fattori. Oltre ai rincari dell’energia c’è anche l’aspetto degli aumenti dei consumi, in particolare in un Paese vasto come la Cina. La maggior domanda ha influenzato le quotazioni soprattutto nella fase di ripresa dei consumi. Anche i cambiamenti climatici finiscono sul conto con i raccolti in due dei maggiori paesi esportatori, Canada e Russia, che l’anno scorso sono stati penalizzati a causa della siccità.
«Per fermare le speculazioni a livello internazionale e garantire la disponibilità del grano – continua la Coldiretti – occorre lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione, come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali».
Intanto gli italiani hanno già iniziato a tagliare la spesa per il cibo. Da gennaio le famiglie hanno cominciato a variare i consumi, preferendo acquistare beni di prima necessità. Su cui la grande distribuzione ha minori margini. Intanto gli ultimi dati Istat evidenziano a novembre un calo congiunturale per le vendite al dettaglio. Meno 0,4% in valore e meno 0,6% in volume. In particolare sono in diminuzione le vendite dei beni alimentari con un -0,9% in valore e -1,2% in volume, mentre quelle dei beni non alimentari risultano pressoché stazionarie.