«Sono convinto che Putin abbia deciso di attaccare»: il presidente degli Stati Uniti Joe Biden sembra non avere più dubbi sulle intenzioni della Russia in Ucraina ma promette «costi altissimi» se Mosca dovesse invadere il Paese o lanciare una operazione militare. Intanto la situazione nel Donbass, la striscia orientale dell’Ucraina occupata da ribelli filorussi, resta tesa. Va prendendo forma quella che l’ambasciatore Usa all’Osce, Michael Carpenter, ha definito «una narrazione che può venir usata per giustificare l’invasione russa».
I leader separatisti filorussi delle autoproclamate repubbliche di Donestk e Lugansk hanno chiamato alla mobiltazione generale. «Mi rivolgo ai miei concittadini che sono nella riserva perché si presentino ai rispettivi distretti militari. Oggi ho firmato un decreto per la mobilitazione generale», ha annunciato in un videomessaggio il leader del Donbass Denis Pushilin. Secondo Pushilin, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ordinerà presto ai militari di lanciare un’offensiva nel Donbass per invadere il territorio delle autoproclamate repubbliche separatiste.
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È iniziata l’evacuazione della popolazione russa nella zona: il primo treno con a bordo oltre 1.000 rifugiati è in arrivo nella regione russa di Rostov, al confine con l’Ucraina, dove è stato dichiarato lo stato d’emergenza «a causa del crescente flusso di profughi». Secondo l’agenzia Ria Novosti, poi, già oltre 10mila persone sarebbero arrivate dal Donbass in territorio russo. La Germania, con una comunicazione del suo ministro degli Esteri, ha esortato tutti i suoi cittadini a lasciare il prima possibile l’Ucraina in quanto «uno scontro militare è possibile in ogni momento». Poco dopo, anche la Francia ha raccomandato ai suoi connazionali di lasciare il Paese. La Lufthansa ha dichiarato che sospenderà tutti i voli verso Kiev e Odessa a partire da lunedì 21 febbraio.
Ma facciamo un passo indietro. Tutto comincia dalla rivolta di Maidan, la grande piazza centrale di Kiev, nel febbraio del 2014, quando settimane di barricate si concludono con la fuga a Mosca del presidente filorusso Viktor Yanukovich, contrario all’ingresso dell’Ucraina nella Nato. La prima reazione di Vladimir Putin, è l’invasione-lampo della Crimea russofila. La seconda mossa, più problematica, l’insurrezione del Donbass. Un mese dopo una grande sconfitta delle truppe ucraine, agosto 2014, Kiev e i ribelli del Donbass firmarono le due tregue di Minsk. Il primo documento, “Minsk 1”, non è mai entrato in vigore: nel 2015, gli ucraini subirono un’altra disfatta a Debaltseve e fu a quel punto che Francia e Germania s’attivarono per un nuovo negoziato, “Minsk 2”.
Con la fine delle grandi battaglie, la comunità internazionale si rilassa. Anche se gli scontri – tra offensive controffensive, tregue e terribili stragi, dal rogo di Odessa all’abbattimento del Boeing malese – non si sono mai fermati. L’Ucraina accusa la Russia di non avere mai ritirato le truppe, come concordato. La Russia ribatte che Kiev non rispetta i punti dell’accordo e s’avvale di mercenari occidentali. L’ultima pace, firmata a Parigi nel 2019, rimane lettera morta.
Dopo 8 anni di conflitto nel Donbass, le ultime 24 ore segnano un pericoloso cambio di passo nellʼescalation militare. Kiev denuncia almeno 60 violazioni del cessate il fuoco, tramite ripetuti attacchi di artiglieria da parte delle milizie delle autodichiarate repubbliche indipendenti di Donetsk e Luhansk. Le intelligence occidentali denunciano il tentativo di Mosca di creare il pretesto per l’invasione.