Una raffica di sanzioni contro la Russia da Usa, Gran Bretagna e Ue. E poi Canada, Australia e Giappone. È la prima reazione alla decisione del presidente russo Vladimir Putin di riconoscere l’indipendenza delle regioni separatiste di Donetsk e Lugansk, velocizzando la crisi al confine con l’Ucraina. È solo l’inizio: le sanzioni annunciate da Joe Biden saranno inasprite se Mosca procederà con le sue azioni, viene evocato tra i prossimi passi il blocco dell’export di materiale tecnologico.
Le sanzioni annunciate dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea sono mirate e piuttosto specifiche: soprattutto nel caso dell’Unione Europea riguardano soggetti coinvolti a vario titolo nelle azioni militari nelle repubbliche autoproclamate dell’est dell’Ucraina, più singoli personaggi politici russi. Tra questi, scrive Politico, ci sono per esempio 351 parlamentari russi che hanno votato a favore del riconoscimento delle repubbliche autoproclamate, gli 11 parlamentari che hanno promosso l’iniziativa, una serie di banche russe e gli stessi territori autoproclamati, che non potranno più avviare commerci con l’Unione Europea.
Le sanzioni annunciate dagli Stati Uniti, invece, riguarderanno il debito pubblico della Russia, due tra i principali istituti finanziari del paese e alcune famiglie che appartengono alla classe dirigente russa. La Casa Bianca ha reso noto che Joe Biden ha annunciato di aver imposto sanzioni contro il gasdotto Nord Stream 2 e i dirigenti della sua società nell’ambito della crisi ucraina. «Ora Nord Stream 2 è solo un pezzo di ferro nel fondo del mare», ha detto il portavoce del dipartimento di Stato Usa, Ned Price.
SCOOP: The Biden admin is expected to announce today that it will allow sanctions to move forward on the company in charge of building Russia’s Nord Stream 2 gas pipeline, Nord Stream 2 AG, and its CEO after blocking such sanctions last year using a national security waiver.
— Natasha Bertrand (@NatashaBertrand) February 23, 2022
Sia il presidente americano Joe Biden sia la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen hanno comunque fatto capire che quelle approvate sono soltanto una prima porzione di sanzioni, e che se la situazione al confine tra Russia e Ucraina dovesse peggiorare ne seguiranno altre. «L’80% delle forze russe schierate al confine con l’Ucraina è pronto ad agire», ha detto un alto ufficiale della Difesa Usa in un briefing al Pentagono. Le forze russe «intorno all’Ucraina e alla Bielorussia sono al massimo della prontezza operativa» per l’invasione, ha aggiunto la fonte citata dalla Cnn.
Call with @SecBlinken to discuss #Russia’s aggression and illegal actions against #Ukraine.
We are prepared to answer to potential next steps with further severe measures.
The EU and the U.S. stand united. pic.twitter.com/B6xRnjo45l
— Josep Borrell Fontelles (@JosepBorrellF) February 23, 2022
«Siamo preparati a rispondere a potenziali nuovi passi con sanzioni ancora più severe», scrive l’Alto Rappresentante Ue per la Politica Estera, Josep Borrell su Twitter, ribadendo: «Usa e Ue sono uniti». In generale, l’efficacia delle sanzioni come strumento di politica estera è molto dibattuto, ormai da anni, da economisti ed esperti di politica internazionale. In linea teorica le sanzioni sono uno strumento potente e molto efficace: permettono di attuare una politica estera aggressiva e di esercitare pressioni su un altro stato in situazioni in cui la diplomazia tradizionale è insufficiente, ma in cui l’intervento militare sarebbe esagerato o troppo rischioso. Per questo motivo le sanzioni sono diventate l’arma più utilizzata in tutte le principali questioni internazionali.
In alcuni casi le sanzioni hanno effettivamente portato a buoni risultati, benché in molti casi provvisori: servirono per esempio all’ex presidente americano Barack Obama per fare forti pressioni sull’Iran e riuscire ad aprire il negoziato sul nucleare (da cui il suo successore, Donald Trump, era poi uscito); hanno permesso a Trump di ridurre enormemente la presenza sul mercato occidentale dell’azienda tecnologica cinese Huawei, considerata dagli Stati Uniti un pericolo per la sicurezza. E nel caso specifico della Russia le sanzioni sono state utili negli anni passati: tra le altre cose, quelle imposte dopo l’invasione della Crimea nel 2014 contribuirono ad aprire la strada ai negoziati di pace di Minsk, che poi la Russia ha palesemente violato con il riconoscimento dell’indipendenza del Donbass.
Ma in molti casi i risultati delle sanzioni sono mediocri e spesso deludenti, soprattutto a causa dell’eccessiva facilità, frequenza e per certi versi vaghezza con cui l’Occidente, e soprattutto gli Stati Uniti, le usano per intervenire nelle crisi internazionali. Contestualmente, le sanzioni sono diventate sempre più raffinate e complesse. Se durante la Guerra fredda e fino agli anni Novanta erano misure piuttosto ampie, che miravano a colpire grandi settori dell’economia di un paese, negli ultimi vent’anni si sono fatte sempre più mirate e specifiche, con l’obiettivo di colpire singoli asset finanziari o singoli personaggi o aziende. Il risultato è che ben presto i governi hanno cominciato ad abusarne: oggi gli Stati Uniti hanno attive decine di programmi di sanzioni, alcuni dei quali in corso da molti anni.
Gli esperti sono piuttosto concordi nel sostenere che, con la Russia, queste sanzioni mirate non possano funzionare, ma che invece avrebbero un impatto molto maggiore sanzioni estese, capaci di danneggiare l’economia russa e mettere sotto pressione Putin all’interno del proprio paese: se l’elettorato russo dovesse cominciare a mostrare malcontento, il presidente russo potrebbe essere spinto a ridurre la propria aggressività militare. Imporre sanzioni estese contro la Russia è tuttavia una decisione politica piena di conseguenze anche per i paesi occidentali che decidessero di imporle, che rischierebbero di danneggiare la propria economia: la Russia è un paese piuttosto integrato nel sistema mondiale, e danneggiare la sua economia, i suoi commerci e le sue esportazioni significherebbe colpire i paesi con cui intrattiene rapporti economici, compresa la gran parte dei paesi europei. Questo senza contare il rischio di una controrisposta russa, che potrebbe comportare un’interruzione delle esportazioni di gas verso l’Europa.