Il presidente ucraino Zelensky ha più volte chiesto di istituire una no-fly zone sull’Ucraina. Lo fa dall’inizio del conflitto, ma la richiesta si è fatta più pressante con l’avanzare della guerra. La risposta della Nato e degli Stati Uniti è sempre stata negativa. Chi la impone deve svolgere attività di pattugliamento e, in caso di violazione dello spazio aereo, può arrivare all’abbattimento del velivolo nemico. Ed è per questo che la no-fly zone viene equiparata a «un atto di guerra». Lo ha detto il presidente russo Putin, ma anche alcuni esponenti dei governi occidentali, tra cui la portavoce della Casa Bianca, Jen Psaki, e il ministro della Difesa del Regno Unito, Ben Wallace.
Secondo il leader ucraino, rifiutarsi di optare per questa strada significa «dare il via libera a ulteriori bombardamenti di città e villaggi ucraini»: «Vi chiediamo ogni giorno una no fly zone, se non ce la date, almeno forniteci aerei per proteggerci. Se non ci date neanche questi, rimane una sola soluzione: anche voi volete che ci uccidano lentamente. Questa sarà anche responsabilità della politica mondiale, dei leader occidentali. Oggi e per sempre». Ma l’Occidente teme che “chiudere il cielo” equivalga ad aprire uno scontro diretto con la Russia, poiché non basta imporre un divieto. Bisogna anche assicurarsi che venga rispettato e prendere provvedimenti contro chi non lo fa.
Se la Nato imponesse una no-fly zone, sarebbe infatti obbligata a pattugliare i cieli dell’Ucraina, abbattendo i jet di Mosca e attaccando le difese anti-aeree russe in territorio ucraino: per questo il presidente Vladimir Putin la ritiene «un atto di guerra», e sostiene che qualunque Paese imponesse una no-fly zone «parteciperebbe di fatto al conflitto armato».
Le no-fly zone sono utilizzate di norma per proteggere aree sensibili, come residenze reali, edifici governativi, luoghi pubblichi o religiosi, eventi sportivi. Quando sono applicate con fini militari — vietando ad aerei di entrare in un’area specifica per impedire attacchi o sorveglianza, come nel caso ucraino — finiscono per equivalere a un atto di guerra. Queste no-fly zone permettono infatti di entrare in un conflitto senza impegnare le truppe a terra, spiega il New York Times, e con un numero limitato di aerei e infrastrutture: per imporre queste restrizioni, però, è necessario l’uso della forza, compresa appunto la distruzione delle difese anti-aeree e dei jet nemici.
In passato le no-fly zone sono state usate da Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia senza il sostegno dell’Onu durante la Guerra del Golfo, nel 1991, per fermare gli attacchi di Saddam Hussein contro i civili che avevano causato migliaia di vittime nel nord e nel sud del Paese, e sono durate fino all’invasione americana dell’Iraq, nel 2003.
La Nato l’ha dichiarata in Bosnia fra il 1993 e il 1995 con il sostegno dell’Onu, e poi nel 2011 in Libia, quando Gheddafi provò a sopprimere le rivolte. Nel 2015 ci furono invece grandi pressioni negli Stati Uniti per dichiarare una no-fly zone in Siria, dove Assad sganciava barrel bomb sui civili e anche i russi conducevano attacchi aerei contro Isis ma anche contro i ribelli che si opponevano ad Assad: a opporsi fu l’allora presidente Barack Obama, che voleva evitare di entrare in conflitto diretto con i russi.