La frase per cui «in guerra la verità è la prima vittima» viene attribuita a Eschilo, drammaturgo ateniese del V secolo avanti Cristo. Fin dall’antichità ogni guerra ha visto sempre le parti in causa alimentare notizie false o manipolate per raggiungere i propri scopi. E il conflitto in Ucraina non fa eccezione.
Il Cremlino nega categoricamente che il proprio esercito abbia ucciso i civili a Bucha, la città alle porte di Kiev da cui arrivano foto e video di diversi cadaveri abbandonati per strada. Corpi di donne, anziani e bambini, oltre che uomini in abiti civili e, secondo le autorità di Kiev, ritrovati con gravi ferite alla testa e le mani legate. Atrocità che secondo l’Ucraina sono state commesse poco prima che l’esercito russo lasciasse la regione di Kiev, per spostarsi verso l’Est del Paese.
«Questi sono crimini di guerra e saranno riconosciuti dal mondo come un genocidio», ha detto il presidente ucraino Zelensky in visita a Bucha. Il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha invece sostenuto che si tratti di «una messa in scena fatta girare sui social network dall’Occidente e dall’Ucraina». «Abbiamo chiesto una riunione straordinaria del Consiglio di Sicurezza Onu – ha ggiunto – La Russia considera la situazione a Bucha come una provocazione che è una minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale». Anche questa è propaganda si potrà obiettare. Certamente, nessuna dichiarazione ufficiale va presa per verità assoluta.
Però sono ancora tanti i punti da chiarire. Il giornalista Toni Capuozzo semina dubbi sui massacri di Bucha. «Il 30 marzo i russi si sono ritirati da Bucha – racconta Toni Capuozzo durante Quarta Repubblica – Il 31 marzo il sindaco di Bucha rilascia un’intervista in cui esprime la propria soddisfazione per il fatto che i russi hanno finalmente abbandonato il paese. Il primo aprile c’è un’altra intervista e nessuno fa menzione dei morti in strada. Poi il 2 aprile spunta fuori un filmato della polizia ucraina che mostra soltanto un cadavere. Il 3, invece, iniziano a circolare tutti i morti che abbiamo visto. Da dove sono saltati fuori tutti questi corpi. Possibile che dopo 4 giorni nessuno ha messo una coperta su questi cadaveri? Io li ho visti come sono i cadaveri dopo qualche giorno. Queste vittime sono in strada da tre settimane? Non sarebbero in quelle condizioni!».
Carlo Freccero è tornato a parlare di “false flag”, ossia di un’operazione sotto una “falsa bandiera” per ingannare l’opinione pubblica. «Quando ci si trova di fronte ad un episodio di tale ferocia ed efferatezza, scaturisce spontaneo il dubbio di trovarsi di fronte ad una false flag. Perché? Perché nessun attaccante in campo, dopo un autogol fortuito si accanirebbe a segnare una serie infinita di autogol per stracciare per sempre la possibilità di vittoria della sua stessa squadra. A chi gioverebbe infatti una strage? Non certo ai russi»: è il ragionamento dell’ex direttore di Rai 2. Freccero ne fa un discorso di “convenienza”: a chi giova il ritrovamento delle fosse comuni in questo momento della guerra? «Anche un solo morto abbandonato sulla strada si ritorcerebbe contro l’esercito sovietico in un momento in cui tutti gli occhi del mondo son puntati sull’Ucraina». Tra i sospetti sollevati da Freccero, destinati ad alimentare feroci polemiche, c’è che le immagini viste a Bucha possano anche essere funzionali ad un’escalation “voluta” che potrebbe portare a una guerra atomica: «C’è chi spinge in quella direzione, e per giustificare una cosa così mostruosa, ci vuole una causa altrettanto mostruosa: una strage».
A sostegno di questa tesi «c’è un filmato che annulla tutti i filmati della strage. Una macchina percorre la strada ricoperta di cadaveri e poco dopo, nello specchietto retrovisore, un cadavere si alza in piedi credendo di essere ormai fuori dal campo visivo. Ci sono moltissimi precedenti, come i morti nei sacchi neri che tirano fuori la testa per fumarsi una sigaretta» dice Freccero, consapevole però che «anche questo filmato potrebbe essere un falso».
Ci sono ancora molte cose da chiarire. Anche perché ci sono dei precedenti importanti. Nel 1999 la Nato entrò in guerra contro la Serbia in seguito a quella che venne presentata come una strage di civili perpetrata dalle forze speciali serbe. In realtà era stato tutto ricostruito ad arte, sparando un colpa alla testa a persone che erano già morte. I dubbi restano e sino a che non saranno svolti accertamenti a Bucha, non si può dire niente di definitivo, ci vuole cautela per non finire schiacciati nella macchina della propaganda di guerra.
La propaganda di guerra è un’arma in uso sin dall’antichità, ma ovviamente la società di massa ha moltiplicato il ricorso alle falsità e alle distorsioni. Servono per consolidare il fronte interno, per gettare il nemico nello sgomento, per influenzare l’opinione pubblica nei Paesi neutrali che potrebbero schierarsi in un senso o nell’altro, imporre sanzioni o astenersi dal farlo. D’altronde già i sovietici erano specialisti nel fabbricare montature prima delle elezioni statunitensi del 2016. Ma certo l’Occidente non è senza macchia. Tutti ricordiamo quanto insistette la Casa Bianca nel 2003 sulle armi non convenzionali in possesso dell’Iraq, rivelatesi inesistenti. E i Pentagon Papers, i documenti riservati pubblicati dal «New York Times» e dal «Washington Post» nel 1971 dimostrarono che il governo degli Stati Uniti aveva mentito ripetutamente all’opinione pubblica sulla situazione in Vietnam. Non deve quindi stupire l’alluvione di fake news sulla guerra in Ucraina.