«Ci chiediamo se il prezzo del gas possa essere scambiato con la pace. Di fronte a queste due cose cosa preferiamo? La pace, oppure star tranquilli col termosifone acceso, anzi ormai l’aria condizionata accesa tutta l’estate? Preferisce la pace o il condizionatore d’aria acceso?». Ieri al termine di un Consiglio dei ministri, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha risposto a una domanda di un giornalista sulla crisi energetica e sulla scelta o meno di bloccare gli acquisti di gas e idrocarburi dalla Russia, in risposta all’invasione dell’Ucraina.
Draghi ha spiegato che su un tema così delicato il governo ha intenzione di assumere decisioni insieme al resto dei paesi dell’Unione Europa, e con l’obiettivo di raggiungere la pace in Ucraina: «Se ci propongono l’embargo sul gas e se l’Unione Europea è uniforme su questo noi saremo ben contenti di seguire, qualunque sia lo strumento che considereremo più importante, più efficace, per permettere una pace. Questo è quello che vogliamo». Con le attuali riserve e gli altri contratti che non riguardano la Russia per le forniture del gas, l’Italia potrebbe essere coperta fino alla fine del prossimo ottobre: «Le conseguenze non le vedremmo fino all’autunno», ha detto Draghi.
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Ma quelle per qualcuno possono essere delle comodità da scambiare con la pace in Ucraina, per altri sono delle necessità. Troppo semplicistica la disamina di Draghi. Si può rinunciare al gas russo per salvare una stagione turistica dopo due anni di Covid, chiusure e Green pass, con le regole più severe d’Occidente. Un turista straniero prenoterebbe le vacanze in un nostro albergo senza aria condizionata? E serve – ma supponiamo che, nei piani di razionamento, questo sia stato messo in conto – pure agli ospedali, alle case di cura, ai supermercati, alle aziende.
Insomma, se dipendesse dal premier sarebbe già deciso: sanzioni contro il gas russo a costo di far fallire l’economia italiana, fortemente dipendente da Mosca. Quando è sotto gli occhi di tutti che l’embargo energetico colpirebbe innanzitutto l’Ue e massimamente la nostra nazione, il premier quasi sarcasticamente presenta un nuovo dilemma agli italiani: «Pace o aria condizionata?». Invece di trovare un’alternativa a inviare armi all’Ucraina e colpire sempre di più la Russia, con inevitabili durissime contromisure da parte di Mosca. A sentire il premier, con l’embargo sul gas, costringeremo la Russia ai negoziati e gli strapperemo di mano la pace in Ucraina. Il prezzo da pagare è restare senza gas, quindi senza industria, quindi senza produzione. Senza economia, insomma.
Inutile dire che con la chiusura dei rubinetti russi, il prezzo del gas per l’Italia si raddoppierebbe. Infliggendo un colpo durissimo all’intero sistema produttivo e causando la chiusura di migliaia di piccole e medie imprese. Il problema è che senza approvvigionamenti di energia, tante imprese, sopravvissute per miracolo alla crisi pandemica, già provate dal caro bollette e quindi coinvolte nella perversa dinamica dell’inflazione, dovranno fermare la produzione. E se si ferma la produzione, vanno a casa i lavoratori. E se vanno a casa i lavoratori, le famiglie non hanno più soldi per comprare i beni prodotti da quelle imprese che non hanno sospeso l’attività, ma che senza entrate sarebbero costrette a farlo.
L’Italia sarebbe quindi condannata un 2022 di recessione. Facendo due conti, in uno scenario simile si stima che l’occupazione crollerebbe di 2,5 punti in due anni e l’inflazione, già alle stelle, schizzerebbe di altri 4 punti. Nel solo 2022 i prezzi salirebbero dunque del 7,6%. A lanciare l’allarme, nei giorni scorsi, è stata Confindustria, che calcola che il 40% delle imprese entro tre mesi dovrà tagliare la produzione.