«Non ti vaccini, ti ammali, muori». La frase del premier Mario Draghi sull’obbligo vaccinale e sulla necessità del Green pass passerà alla storia, come quell’altra secondo cui il Green pass sarebbe una «garanzia di ritrovarsi tra persone non contagiose». Ma neanche la sua tripla dose la reso invulnerabile al Covid. Non per questo non è più Super Mario: quello che era stato definito “l’effetto Draghi” sembra essere svanito. Seppure la luna di miele con una parte della stampa che resta più draghista di Draghi prosegue, sono lontani i tempi in cui i commentatori si lanciavano in previsioni come «con Draghi lo spread Btp-Bund può scendere sotto i 50 punti» (Corriere della Sera). La sua politica ha reso l’Italia prigioniera delle norme anti-Covid più estremiste del mondo, ininfluente sul piano diplomatico e intrappolata nella crisi energetica più importante degli ultimi decenni.
Dopo la paralisi e il caos del governo giallo-rosso e la crisi indotta dal panico della pandemia, pensavamo che Draghi potesse essere una soluzione. O quanto meno il minore dei mali. Purtroppo, oggi dobbiamo però ammettere che Draghi sta causando danni, in maniera diversa, ma paragonabili a quelli dei governi precedenti.
Il governo Draghi ha imposto più restrizioni e discriminazioni inutili in nome dell’emergenza epidemiologia come il Green pass, che è stato finora necessario praticamente per svolgere qualsiasi attività fuori casa, l’obbligo vaccinale imposto ai lavoratori over 50 dietro la minaccia di perdere la retribuzione se non il posto di lavoro e le discutibili regole per la scuola che hanno discriminano gli studenti non vaccinati. Inoltre, l’asfissiante burocrazia pandemica ha contribuito a disintegrare il tessuto economico del Paese.
Nella gestione della crisi ucraina Mario Draghi ha dovuto fare i conti con la fragilità della sua maggioranza ma anche con alcuni suoi errori strategici, malintesi e ritardi che hanno reso la linea di Roma incerta e inaffidabile per i partner. Poteva essere la grande occasione per l’ex numero uno della Bce di prendere in mano l’Unione europea dopo l’uscita di scena di Angela Merkel, ma così non è stato. L’Italia è rimasta ai margini dei fragili tentativi diplomatici per fermare il conflitto. La guerra in Ucraina ha aperto, inoltre, un’importante questione dal punto di vista energetico per tutta l’Europa e, in particolare, per l’Italia che dipende per più del 40% dalle forniture di Mosca. Il governo Draghi ha subito disposto misure di emergenza che però ci vincolano a un futuro di combustibili fossili.
Questi ultimi mesi hanno fatto svanire definitivamente l’effetto Draghi, se mai è esistito. Ora restano solo le macerie della gestione pandemica, gli aumenti spropositati delle bollette, il Pnrr incentrato sulla transizione ecologica da riconsiderare alla luce dei recenti avvenimenti, una crisi economica galoppante aggravata dalla guerra in Ucraina. In questa inarrestabile parabola discendente di Draghi c’è tutta la differenza che passa tra un vero leader e “un nonno al servizio delle istituzioni”, tra uno stratega e un gelido calcolatore, tra un uomo eroico e il tecnocrate che tiene in piedi la legislatura su nuove emergenze.