Sono l’incubo dei commercialisti. E ora anche della Commissione europea. Eppure il governo Draghi non sembra volerli cancellare. Con il decreto Aiuti è arrivato l’ennesimo bonus: duecento euro (una tantum) per far fronte all’aumento dei prezzi di tutti i beni, non soltanto del costo delle bollette. Il decreto Aiuti, varato dal governo il 3 maggio scorso, e poi ritoccato il 5 maggio proprio per allargare la platea del bonus e raggiungere colf, stagionali e percettori del reddito di cittadinanza, ha avuto ora anche il via libera della Ragioneria dello Stato. La misura verrà interamente coperta dalla tassa sugli extraprofitti delle aziende energetiche, che sale dal 10% al 25%, e che darà un gettito da 6,5 miliardi di euro.
In principio fu l’assegno di 80 euro di Matteo Renzi. Non c’è però dubbio che sia stata in questa legislatura, in un crescendo che unisce i due governi di Giuseppe Conte a quello attuale di Mario Draghi, che il bonus è diventato il vero feticcio o totem della politica italiana. Dai bonus per la casa (ce ne sono decine) a quelli in busta paga, dalla benzina ai trasporti, passando per televisioni, giovani, docenti e chi più ne ha più ne metta, c’è una misura per tutto e per tutti. E come dimenticare il tanto discusso Superbonus al 110% o bonus facciate e l’assegno unico per i figli. O, anche se non è un vero bonus, il reddito di cittadinanza. Decine di miliardi di euro spesi ogni anno in bonus. E sempre meno destinati a misure strutturali.
Il problema, però, è che forse iniziano a essere un po’ troppi. E così le critiche del commissario europeo all’Economia, Paolo Gentiloni, sembrano proprio rivolte a chi, come l’Italia, ne ha introdotti altri con la crisi energetica scaturita dalla guerra in Ucraina. La crisi ucraina non è come quella sanitaria dovuta al Covid e, dice chiaramente Gentiloni, «non può giustificare lo stesso livello di sostegno da parte delle politiche fiscali». Per rispondere alla crisi energetica servono sostegni più mirati e basta bonus a pioggia e scostamenti di bilancio, insomma.
L’Italia sembra diventare sempre più una Repubblica fondata sui bonus, più che sul lavoro (per citare l’articolo 1 della Costituzione). Con un conseguente caos per i commercialisti e, soprattutto, con miliardi di euro che, a giudizio di analisti ed esperti, potrebbero essere investiti per misure strutturali e forse più efficaci. Da qualche anno i bonus sembrano essere la soluzione a ogni problema, qualsiasi sia il governo: da Renzi a Draghi, poco è cambiato. E così si rimandano tutti gli interventi strutturali che potrebbero fare un po’ di ordine e utilizzare al meglio le risorse investite attualmente per finanziare decine di bonus, spesso complessi, caotici e magari anche di scarso effetto.
Il bonus è diventato uno strumento utile a nascondere la mancanza di progetti strutturali e sostituisce riforme essenziali come quella del lavoro, delle pensioni, dei trasporti, tanto per citarne alcune. E neanche il Pnrr sembra aver colmato questo vuoto. Certo, i progetti di riforma ci sono. Ma ancora l’Italia non è riuscita a mettere in campo risposte di fronte ai problemi urgenti che vadano oltre l’approccio emergenziale.