La domanda a questo punto sorge spontanea: se non ci crede più neanche il fondatore e garante, perché dovrebbero farlo gli elettori? Sì, perché Beppe Grillo domenica scorsa non è andato a votare il Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali. Nel seggio 617 di Genova, quello dove si recano i residenti della bella collina a ridosso del mare di Sant’Ilario, tra gli otto voti ai 5 Stelle (ovvero il 2,5% delle preferenze in quella sezione) non c’era il suo. Il fondatore non ha votato per l’elezione del sindaco di Genova, dove il Movimento era alleato con il Pd. «Era fuori città», spiegano i grillini locali.
Proprio quando il Tribunale di Napoli conferma la legittimità dell’elezione di Giuseppe Conte a presidente, il M5s vive il suo momento più buio. Gli elettori del Movimento Cinque Stelle, in maggioranza, non hanno seguito le indicazioni del leader, Giuseppe Conte, di sostenere i candidati di centrosinistra, ma hanno votato altri o, in una proporzione addirittura di uno su due in diverse città, si sono astenuti. Sono i due aspetti principali che emergono dall’analisi dei flussi elaborata dall’Istituto Cattaneo.
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«Non possiamo stare nel governo e poi, un giorno sì e un giorno no, attaccare il governo. Il M5s deve fare un grande sforzo nella direzione della democrazia interna», dice Luigi Di Maio. Replica Giuseppe Conte: «Quando Di Maio era leader, come organismo del M5S c’era solo il capo politico. Che oggi ci faccia lezioni di democrazia fa sorridere». Il botta e risposta indiretto tra il ministro degli Esteri e l’ex premier dà il senso delle tensioni che si vivono all’interno del Movimento. Tensioni che il risultato non entusiasmante dell’ultima tornata di elezioni amministrative ha ulteriormente rinfocolato. Per Di Maio il risultato è deludente: «Non siamo mai andati così male alle comunali». E a pesare ci sono anche i sondaggi: l’ultimo di Ipsos per il Corriere della Sera piazza i grillini al 13,7%; alle scorse politiche avevano conquistato più del 32% di consensi.
Di Maio, tuttavia, ha ormai assunto una posizione sempre più istituzionale e non nasconde l’insofferenza verso la linea tenuta da Conte. Il no all’invio di armi all’Ucraina viene ribadito con regolarità, come se nel Consiglio dei ministri non fosse presente anche il Movimento. E come se il Paese non avesse degli obblighi internazionali: «L’Italia non è un paese neutrale — rimarca il capo della Farnesina , è un Paese che è dentro alleanze storiche da tanto tempo grazie ai nostri padri fondatori» e quindi no a «frasi o contenuti che ci disallineano di fatto dalle nostre alleanze storiche». Per Di Maio, al M5S servono «meno autoreferenzialità» e «un grande sforzo di democrazia interna» perché «veniamo da una storia che si è distinta per democrazia interna ma nel nuovo corso devono esserci più inclusività e dibattito».
I fedelissimi di Conte negano di volere aprire una crisi in un momento così delicato, di volersi disimpegnare dall’esecutivo, magari puntando su un appoggio esterno, proprio ora che la politica estera richiederebbe dall’Italia un’immagine di unità. Ma l’avvicinarsi delle elezioni del prossimo anno crea ansia da prestazione nelle forze politiche più sensibili al richiamo popolare. E Conte non manca di farlo notare: «Negli ultimi giorni ho riunito un consiglio nazionale e ho fatto due conferenze stampa in cui abbiamo analizzato il risultato del voto: io so come assumermi le responsabilità» puntualizza Conte. «Il mio telefono non ha mai squillato». Ovvero, Di Maio non si è mai fatto sentire per dare un contributo. Poi, rispondendo ad un cronista, l’ex premier evoca una possibile fuoriuscita da parte del ministro: «Luigi intende fondare un nuovo partito? Non entro nella testa altrui: questo ce lo dirà lui in queste ore».