Ancora quattro giorni di tempo per convincere Draghi a desistere dalle dimissioni. La chiave di volta sta qui. Far decantare la situazione e provare a superare la crisi. La scommessa dei partiti è quella di dimostrare che nonostante tutto c’è una maggioranza a suo sostegno pronta a ricompattarsi, motivo per cui Mattarella ha ribadito la necessità di una valutazione parlamentare.
Le dimissioni di Mario Draghi non portano automaticamente al voto anticipato, anche nel caso in cui il presidente del Consiglio mercoledì alle Camere confermi le sue dimissioni, bloccando così dibattito e voto parlamentare sul suo intervento. Le elezioni anticipate non piacciono a nessuno. Non di certo al Pd che difficilmente stringerebbe ancora un’alleanza con il Movimento 5 Stelle già fortemente dilaniato al suo interno e con non molte possibilità di successo se il centrodestra si dovesse presentare compatto. Neppure ai centristi di Italia Viva e Azione di Calenda i quali, in piena fase di organizzazione, puntano a divenire il possibile “ago della bilancia” nella prossima legislatura e necessitano di più tempo a disposizione.
Potrebbe piacere forse alla Lega di Salvini (non quella di Giorgetti e dei Presidenti delle Giunte regionali) il cui appoggio al Governo Draghi è stato pagato con un forte crollo dei consensi come, del resto, certificato nelle recenti elezioni amministrative. Salvini potrebbe valutare la via del voto per impedire a Fratelli d’Italia di incrementare ulteriormente il proprio consenso (almeno stando ai sondaggi), oppure alzare la posta in un Draghi bis. Giorgia Meloni, invece, è stata chiara fin da subito: il voto rimane l’unica soluzione praticabile. Da ultimo, neppure Luigi Di Maio con la sua nuova formazione politica appositamente costituita ad hoc come stampella del governo ha interesse ad uno scioglimento anticipato, causa la difficoltà di una rielezione vista anche la legge sulla riduzione del numero dei parlamentari.
Spunta così l’ipotesi di un “traghettatore” fino alle prossime elezioni. E ancora una volta, come in ogni crisi negli ultimi 30 anni, torna il grande classico della politica italiana: Giuliano Amato. L’ultima volta, in ordine di tempo, il suo nome era stato fatto durante i giorni che hanno portato alla rielezione del presidente Sergio Mattarella al Quirinale. E dopo lo strappo del M5s, in questa nuova crisi che per molti osservatori rappresenterebbe il capolinea del governo Draghi, il presidente della Corte Costituzionale viene visto come il possibile “traghettatore” che potrebbe essere scelto dal Quirinale, qualora Mario Draghi dovesse dimettersi.
Come riferisce il quotidiano La Repubblica, citando un’autorevole fonte M5S, Massimo D’Alema si sta muovendo ed ha avuto contatti con Giuseppe Conte ed esponenti della Lega per verificare la praticabilità di un governo Amato fino al termine della legislatura. Il mandato di Amato alla Corte costituzionale terminerà nei primi giorni di settembre: non è quindi un ostacolo per il progetto. L’ultima parola spetterà, come previsto dalla Costituzione, al presidente Mattarella. Se la proposta verrà accettata finirebbe l’era Draghi, ma non si andrebbe comunque al voto.