La giornata più lunga di Mario Draghi. Il presidente del Consiglio Mario Draghi ieri ha ottenuto tecnicamente la fiducia del Senato ( 95 sì e 38 no), ma in un voto a cui non hanno partecipato il Movimento 5 Stelle e il centrodestra, che hanno ritirato il sostegno al governo. Il voto era stato deciso dopo la crisi politica innescata la scorsa settimana dal M5s e, e aggravata dopo che Lega e Forza Italia avevano deciso di uscire dalla maggioranza, in seguito al duro discorso di Draghi che aveva criticato specialmente il partito di Salvini.
I Cinque stelle, che inizialmente avevano annunciato che avrebbero lasciato l’aula, hanno invece “risposto alla chiama” ovvero all’appello nominale come “presenti non votanti”. Non hanno votato la mozione di fiducia e non hanno votato no, ma hanno tenuto il numero legale, calcolato a 142 voti. Cosa cambia che ci sia stato il numero legale? Politicamente non molto, tecnicamente invece, che il governo sia dimissionario ma non sfiduciato gli consente maggiori poteri per gestire gli affari correnti fino all’inevitabile voto.
Difficile che accada altro oltre alle dimissioni, a questo punto: il premier Mario Draghi è atteso al Colle dopo la discussione alla Camera. Stavolta il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dovrebbe accettarle anche perché il dissenso interno all’attuale maggioranza che si è registrato, con Lega e Forza Italia assenti alla votazione, è troppo corposo per ipotizzare qualche altra formula per avere la maggioranza.
Prende corpo l’ipotesi di elezioni anticipate e la prima data utile potrebbe essere quella del 2 ottobre. L’avvio delle procedure di scioglimento delle Camere potrebbe iniziare già oggi, con la convocazione dei presidenti di Camera e Senato. Draghi potrebbe rimanere in carica fino all’arrivo del nuovo governo, dopo le elezioni politiche. Dopo aver rassegnato le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, il capo dello Stato gli chiederà di rimanere in carica per il disbrigo degli affari correnti. L’alternativa, altamente improbabile, è che Mattarella formi un «governo di scopo» per arrivare fino alle elezioni.
L’unico problema da risolvere è la data di scioglimento delle Camere, per poi calcolare quando gli italiani saranno chiamati alle urne. Chiudere tutto ieri avrebbe significato vincolarsi a votare il 25 settembre, ma la coincidenza con una importante festa ebraica avrebbe rappresentato un grave sgarbo istituzionale. Quindi le elezioni anticipate potrebbero tenersi il 2 ottobre o il 9 ottobre.