Mentre i partiti sono alle prese con riunioni e “parlamentarie” per la definizione delle liste dei candidati per le elezioni politiche del 25 settembre, cerchiamo di capire come saranno divisi i collegi di Camera e Senato. Si voterà ancora una volta con il “Rosatellum”, la legge elettorale usata alle ultime elezioni del 2018, ma con una differenza: a seguito della riforma costituzionale approvata nel settembre 2020 si ridurrà il numero di parlamentari. Ad essere eletti saranno 400 deputati e 200 senatori, dei quali, rispettivamente, 8 e 4 nelle circoscrizioni estere. I collegi italiani porteranno quindi all’elezione di 392 deputati e 196 senatori, dei quali un terzo con il maggioritario, o uninominale, e due terzi con il proporzionale, o plurinominale.
Questo cambiamento ha reso necessaria una modifica dei collegi elettorali, che sono sostanzialmente le porzioni di territorio in cui viene suddivisa l’Italia per eleggere i rappresentanti in parlamento, a ognuna delle quali è associato un certo numero di seggi. La suddivisione in collegi elettorali è utile principalmente per ragioni organizzative e di rappresentanza politica. I confini dei collegi vengono stabiliti in base al numero degli elettori residenti e ad altri criteri geografici, con l’obiettivo di creare porzioni di territorio equilibrate e omogenee dal punto di vista della popolazione. Il risultato è una mappa dell’Italia divisa in zone di grandezza anche molto variabile, ma con al loro interno un numero simile di abitanti. Dal momento che in queste elezioni ci saranno meno seggi da assegnare a causa del taglio del numero dei parlamentari, saranno necessari anche meno collegi: per questo sono stati ridisegnati, e sono generalmente un po’ più grandi rispetto al 2018.
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Il governo ha affidato il compito di ridisegnare i collegi elettorali alla stessa “commissione di esperti” che aveva elaborato il disegno dei collegi elettorali prima delle elezioni del 2018. La commissione è presieduta da Gian Carlo Blangiardo, che è il presidente dell’Istituto nazionale di statistica, e comprende dieci esperti tra cui professori universitari di statistica, demografia, geografia economica, diritto costituzionale e altri ancora. La commissione aveva iniziato a lavorare già da prima che fosse approvato il referendum, a dicembre del 2019, e ha finito poco meno di un anno dopo, a referendum avvenuto.
È stata accettata la ripartizione già vigente nel 2018, con 28 circoscrizioni per la Camera e 20 per il Senato (che corrispondono esattamente alle 20 regioni italiane). I seggi vengono poi distribuiti tra le circoscrizioni, in proporzione alla loro popolazione: più persone ci vivono, più parlamentari saranno eletti in una circoscrizione. Per legge, i dati di riferimento sulla popolazione devono essere quelli dell’ultimo censimento disponibile, in questo caso quello del 2011. Dal conto vengono esclusi i seggi che spettano alla circoscrizione estero, 8 alla Camera e 4 al Senato: ne rimangono quindi 392 alla Camera (di cui 147 uninominali) e 196 al Senato (di cui 74 uninominali).
Una volta assegnati i seggi alle varie circoscrizioni, la commissione ha potuto ridisegnare i collegi elettorali, tenendo in considerazione diversi parametri: il più importante è quello che riguarda la popolazione di un collegio, che non può essere superiore o inferiore del 20% rispetto alla media di tutti i collegi che compongono una stessa circoscrizione. Gli altri riguardano variamente quella che viene definita «coerenza del bacino territoriale». In pratica si cerca di creare collegi che si estendano su territori con una certa unità amministrativa: quindi che siano sempre all’interno della stessa regione, e – quando è possibile – senza “spezzare” i territori provinciali e comunali in collegi diversi. Naturalmente sono parametri non sempre applicabili, per esempio nel caso delle grandi città più popolose: in quei casi si cerca almeno di non spezzare le unità territoriali cittadine, come i municipi.
La definizione dei collegi è complicata dal fatto che le camere del parlamento sono due e hanno una composizione diversa – una ha 400 deputati, l’altra 200 senatori –, e soprattutto dal funzionamento della legge elettorale. Il Rosatellum infatti si basa su un sistema misto: circa un terzo dei seggi viene assegnato in collegi uninominali, e altri due terzi in collegi plurinominali. Si chiamano “uninominali” i collegi in cui si elegge un solo rappresentante, “plurinominali” quelli in cui se ne elegge più di uno. I collegi uninominali vengono assegnati con metodo maggioritario: vince il candidato della coalizione – o del partito che si presenta da solo – che prende un voto in più degli altri. I seggi dei collegi plurinominali invece si assegnano con metodo proporzionale: i seggi vengono distribuiti tra i partiti in proporzione ai voti che hanno ottenuto. Questo comporta la formazione di quattro diverse mappe per la suddivisione dei collegi: due per la Camera e due per il Senato, con ciascuna camera che ne avrà una per i collegi uninominali e una per i collegi plurinominali.
Le due mappe dei collegi uninominali sono più semplici sia da realizzare che da consultare, perché in pratica il territorio italiano viene diviso in 147 collegi per la Camera e in 74 per il Senato: tanti quanti sono i seggi da assegnare col maggioritario. I seggi assegnati nei collegi plurinominali invece sono di più: 245 alla Camera e 122 al Senato, ma non corrispondono ovviamente al numero di collegi (altrimenti non sarebbero plurinominali). Ognuno infatti assegna almeno due seggi, salvo qualche piccola eccezione: la Valle d’Aosta è l’unica regione che non elegge candidati per la parte proporzionale né alla Camera né al Senato; il Trentino-Alto Adige non elegge senatori al proporzionale.