Dicevano ai giovani di correre a vaccinarsi, di partecipare agli open day vaccinali per essere più più protetti. Poi i numeri hanno detto altro. Un recente studio, uscito su Circulation, rivista specializzata nelle malattie cardiovascolari, smentisce il dogma che “il pericolo di infiammazioni cardiache è superiore dopo il Covid rispetto a dopo l’iniezione”. L’indagine, condotta sui vaccinati dai 13 anni in su in Inghilterra, fino a metà dicembre 2021, conferma per l’ennesima volta l’incremento dell’incidenza di miocarditi, in particolare negli uomini al di sotto dei 40 anni e specialmente a 28 giorni dalla seconda dose di Moderna.
Un aspetto molto importante della ricerca è che essa dimostra una connessione delle miocarditi non solo con i preparati a mRna, ma anche con il farmaco ad adenovirus, cioè Astrazeneca. Sebbene il beneficio netto della vaccinazione non debba essere definito solo in rapporto ai rischi di miocardite, quantificare tale rischio è importante, soprattutto nei giovani, che hanno meno probabilità di essere colpiti dalla malattia grave con l’infezione da Sars-Cov-2.
Uno studio israeliano, uscito lo scorso aprile sul Journal of clinical medicine, esaminava l’incidenza delle miocarditi e delle pericarditi in quasi 200.000 pazienti Covid non vaccinati. Il risultato era sorprendente: «I nostri dati – si leggeva nel paper – suggeriscono che non c’è alcun aumento nell’incidenza di miocardite e pericardite nei pazienti che si sono ripresi dal Covid-19, a confronto con il gruppo di controllo dei non infetti, composto da quasi 591.000 adulti, abbinati per sesso ed età. Il rapporto di causalità di questi disturbi con il Sars-Cov-2 non pare così solido come si è sempre sostenuto.
Quello d’Israele è un esempio isolato? Non si direbbe. Nel numero di luglio del Journal of cardiovascular medicine è stato inserito un saggio di un gruppo di scienziati che operano nel nostro Paese. L’analisi è limitata alle province di Pisa, Lucca e Livorno, ma è stimolante, perché paragona i tassi d’incidenza di miocarditi e pericarditi nel periodo pre Covid a quelli registrati durante la pandemia, fino a maggio 2021. Cioè, quando la popolazione più giovane – più esposta agli effetti collaterali cardiaci dei vaccini – non era ancora stata massicciamente inoculata. L’incidenza annuale di miocarditi era significativamente più elevata nel periodo pre Covid che in quello Covid, con una «riduzione netta del 27% dei casi». Ed essa si è abbassata in modo ancora più sensibile nella classe d’età 18-24 anni. L’incidenza delle pericarditi, invece, è rimasta sempre sostanzialmente invariata.
E non finisce qui. All’inizio del 2022, su Annual review of medicine, era comparsa una relazione sulle miocarditi da Covid «clinicamente sospette» e «provate da una biopsia». All’epoca, gli autori della revisione ribadivano che non c’era ancora «una prova definitiva derivante da biopsia endometriale/autopsia che il Sars-Cov-2 causi un danno diretto al miocardio in associazione con miocardite istologica». Gli scienziati, quindi, esortavano a impiegare criteri medici più rigorosi, per evitare «un’inaccurata stima dell’incidenza di miocarditi basata su diagnosi errate». D’altronde, alcuni mesi prima, una ricerca compiuta su materiale autoptico, pubblicata su Cells, aveva portato a concludere: «Al di fuori del tratto respiratorio, non è stato possibile attribuire nessuna specifica alterazione fisto-morfologica all’infezione da Sars-Cov-2».
Naturalmente, tutto ciò non significa che non esistano miocarditi e pericarditi da Covid. Vuol dire solo che, su questa malattia, forse non si sa ancora abbastanza per pronunciare sentenze mediatiche, spacciate per inscalfibili verità scientifiche. Ma sui vaccini per gli under 40 un po’ di prudenza sarebbe servita.