Tra una settimana si voterà per le elezioni politiche. Le urne saranno aperte dalle 7 alle 23 e gli italiani saranno chiamati a scegliere 400 deputati alla Camera e 200 senatori, ricevendo in dotazione due schede di diverso colore: una rosa per la Camera e una gialla per il Senato. Si tratta di un numero inferiore di un terzo rispetto alle precedenti legislature per effetto della nuova riforma sul taglio dei parlamentari. Ma le novità non si fermano qui. Per la prima volta tutti i maggiorenni potranno votare sia per la Camera che per il Senato. Non sarà più necessario avere 25 anni per ricevere la scheda relativa agli aspiranti senatori. Potranno votare, quindi, tutti i cittadini italiani di età superiore ai 18 anni.
Ma il famigerato Rosatellum non è stato modificato, quindi voteremo ancora con questa legge elettorale, un mix di proporzionale e maggioritario: attraverso il proporzionale si eleggono i 2/3 dei parlamentari, con il maggioritario il restante 33%. Uno degli effetti è che molti collegi uninominali, ridotti di numero, sono cresciuti enormemente in dimensioni. Sulle schede troveremo i nomi dei candidati in quel collegio uninominale collegati alle rispettive liste o coalizioni. Per quel che riguarda i nomi dei candidati all’uninominale, quello che riceve più voti in quel determinato collegio risulta automaticamente eletto.
Ed è qui che possono nascere i primi dubbi. Accanto a ogni simbolo di partito, ci saranno poi quattro nomi con alternanza di genere, il cosiddetto listino proporzionale. Tracciando un segno solo sul nome del candidato per l’uninominale, daremo il voto a lui per quel che riguarda la parte maggioritaria, e alla lista collegata per il proporzionale. Se il candidato è collegato a una coalizione, il voto verrà anche ripartito tra le diverse liste della coalizione stessa, in proporzione ai voti ottenuti nel collegio. Tracciando un segno invece sul simbolo di un partito, il nostro voto andrà a quel partito per quel che riguarda la parte proporzionale e al candidato collegato per quel che riguarda l’uninominale. Dunque si potranno tracciare anche due segni: uno sul nome del candidato all’uninominale e uno sul simbolo del partito scelto. La scheda sarà valida anche se si traccia un segno sul listino da quattro nomi e sul simbolo accanto: in questo caso, il nostro voto andrà automaticamente anche al candidato nel maggioritario.
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Ciò che non si può assolutamente fare è tracciare un segno sul nome di un candidato all’uninominale e un altro sul simbolo di un partito collegato a un altro candidato: la scheda in questo caso verrà annullata. Non esiste l’opzione del voto disgiunto.
Il meccanismo del maggioritario è abbastanza semplice: il candidato che prende un voto più degli altri in quel collegio diventa parlamentare. Per la parte proporzionale, invece, il meccanismo della distribuzione dei seggi è un po’ più complicato, poiché la legge consente a una persona di candidarsi in un solo collegio uninominale e/o in collegi plurinominali (fino a cinque). Il dubbio più diffuso è su come si faccia a stabilire in quale collegio scatta l’elezione. Per meglio comprendere come funziona questa parte bisogna premettere che chi risulta eletto nel maggioritario, ed è candidato anche in uno o più listini proporzionali, “sparisce” da questi ultimi. Facciamo un esempio pratico: se Marco Rossi è candidato nel collegio uninominale di Roma, e anche in diversi collegi plurinominali in altre parti d’Italia, la sua casella viene riempita, nei listini, dal nome immediatamente successivo. Se ad esempio Rossi oltre a essere candidato all’uninominale di Roma è anche capolista nel listino proporzionale, e risulta eletto anche lì, al suo posto, nella parte proporzionale, scatterà il numero due del listino. Se in quel collegio proporzionale il partito di Rossi ha eletto due candidati del listino, scatteranno il numero due e il numero tre. Se Rossi invece non era capolista, ma era al numero due del listino proporzionale, essendo eletto nel maggioritario andranno in Parlamento il numero uno e il numero tre, con quest’ultimo che prenderà il posto di Rossi.
Se invece un candidato risulta eletto in più listini proporzionali, il discorso cambia ancora. Riprendiamo l’esempio precedente per fare più, chiarezza. Rossi è candidato capolista di un
certo partito in tre collegi proporzionali, e quello stesso partito raggiunge il quorum necessario per farlo eleggere in tutti e tre i collegi. In quale di questi collegi Rossi risulterà eletto? La risposta è: nel collegio dove il partito ha preso meno voti. Rossi sarà eletto lì, e così “sparirà” dagli altri due listini proporzionali nei quali era capolista, lasciando spazio per l’elezione a chi si trova al numero due e così via a scorrimento dei listini stessi.
Dunque, come abbiamo visto, il sistema di distribuzione dei seggi è abbastanza complicato, mentre il voto per i cittadini risulta essere abbastanza semplice. Il modo più facile per non sbagliare e per esprimere la propria preferenza politica è quello di barrare con un segno il simbolo del partito scelto. In questo modo, saremo sicuri di votare per il partito e per i suoi candidati nel listino proporzionale e anche per il candidato della lista o della coalizione per quel che riguarda il collegio uninominale. Questo vale sia per la Camera, sia per il Senato.