La coalizione di destra che sostiene il governo nazionale di Giorgia Meloni è andata ancora meglio del previsto alle elezioni regionali che si sono tenute fra domenica e lunedì in Lombardia e Lazio, le due regioni italiane più ricche e popolose. I candidati presidenti della destra, Francesco Rocca per il Lazio e Attilio Fontana per la Lombardia, hanno staccato nettamente quelli delle opposizioni e superato le rilevazioni degli ultimi sondaggi prima del voto. Ma le elezioni regionali del Lazio e della Lombardia segnano un nuovo crollo dell’affluenza. I dati ufficiali e definitivi del Viminale certificano che solo il 40% degli elettori si è recato alle urne, un crollo rispetto al 70,63% del 2018, quando si votò in un solo giorno. È il peggior dato della storia della Repubblica.
La vittoria della coalizione di destra in entrambe le regioni sembra sia stata trainata in gran parte dalla popolarità del governo nazionale, che è ancora piuttosto alta a meno di quattro mesi da quando è entrato in carica. In particolare è notevole il risultato di Fratelli d’Italia, il partito di Meloni. In Lombardia quattro anni fa era praticamente inesistente – aveva ottenuto il 3,64% dei voti – mentre oggi secondo diverse proiezioni sarà di gran lunga il partito più votato in regione, con un risultato intorno al 25% dei voti, praticamente uno su quattro. Nel 2018 nel Lazio Fratelli d’Italia aveva ottenuto poco meno del 9% dei voti e oggi è dato sopra al 30%.
I rapporti di forza con i partiti della coalizione di destra sono praticamente gli stessi delle elezioni politiche di settembre: Fratelli d’Italia è di gran lunga il partito egemone, mentre Lega e Forza Italia sono staccate di diversi punti. Dal punto di vista del governo nazionale questi risultati potrebbero rafforzare il ruolo di Fratelli d’Italia, mantenendo però gli equilibri interni alla maggioranza parlamentare inalterati. Lo stesso però non si può dire dei governi regionali di Lombardia e Lazio. In Lombardia Fratelli d’Italia avrà verosimilmente un peso specifico molto superiore a quello attuale nella prossima amministrazione di Fontana. Anche nel Lazio i risultati della destra sono stati ampiamente sopra le aspettative. I sondaggi pubblicati prima del voto davano in vantaggio Rocca, ma nemmeno secondo quelli più ottimisti era sopra al 50%. È un risultato in parte sorprendente anche perché il Lazio viene da dieci anni di governo del centrosinistra con Nicola Zingaretti presidente, che in questo ruolo si era guadagnato consensi e una visibilità tali da farsi eleggere segretario del Partito Democratico nel 2019.
Si tratta però di una vittoria con un retrogusto amaro. Se da un lato le politiche ultraeuropeiste della sinistra sono state punite dagli elettori, dall’altro l’astensionismo generalizzato solleva più di una preoccupazione. In Lombardia, dove si era abituati a un’alta partecipazione popolare al voto, ci si è fermati fra il 41 e il 42%. Un dato che solo poco tempo fa sarebbe stato considerato quasi incredibile. Sei elettori su dieci sono rimasti a casa: un segnale sconfortante che non può essere spiegato solo con un generico malcontento dell’elettorato.
È vero gli italiani sono delusi e sfiduciati. La situazione economica sempre più difficile, l’incertezza sul futuro, la subalternità rispetto alle decisioni imposte da Bruxelles, la delusione per il comportamento di partiti che si dichiaravano contro un certo sistema e poi, a conti fatti, hanno tradito i loro elettori. Tutto questo non basta a spiegare un crollo simile. C’è una regia dietro a questi numeri, un progetto preciso. Questo continuo anticipare la data delle elezioni, più per interessi di bottega che per necessità, è un gioco molto pericoloso. Perché in questo modo si trasmette il messaggio che la politica è “cosa loro”. Uno spazio inarrivabile dove invece che agli interessi comuni si pensa a quelli di partiti e lobbies.
Le persone danno per scontate certe libertà, certe tutele, che invece oggi più che mai si sono dimostrate a rischio. Per questo il popolo va tenuto lontano dalle urne, per permettere alla politica di fare i loro interessi. Così l’informazione, o quello che ne resta, dev’essere ridotta ai minimi termini. Il confronto dev’essere grossolano, fondato su pochi slogan. Le voci fuori dal coro devono essere messe a tacere.