Otto anni per Gianfranco Fini, nove per Elisabetta Tulliani. Sono le pene richieste dalla procura di Roma al processo che li vede imputati per riciclaggio. La vicenda giudiziaria ruota attorno alla residenza di Montecarlo lasciata in eredità dalla contessa Annamaria Colleoni ad Alleanza Nazionale, di cui Fini era leader, e poi venduta nel 2008 al cognato dell’esponente del centrodestra, Giancarlo Tulliani, con i soldi dell’imprenditore Francesco Corallo, accusato di associazione a delinquere finalizzata al peculato, riciclaggio ed evasione fiscale.
L’accusa di riciclaggio ha toccato lo stesso Fini, che però ha sostenuto di essere stato ingannato dalla compagna Elisabetta Tulliani e dai suoi familiari. Una versione che non convince la pm di Roma, Barbara Sargenti, che ha chiesto per lui 8 anni, 9 anni per la compagna Elisabetta Tulliani, 10 anni per Giancarlo Tulliani e a 5 anni per il padre Sergio. Nonostante la pesantezza delle accuse, l’avvocatura generale dello stato ha chiesto per lui l’assoluzione.
Secondo la ricostruzione dell’accusa, l’appartamento sarebbe stato acquistato per 300mila euro da Giancarlo Tulliani nel 2008 e poi rivenduta sette anni dopo per un milione e 360mila euro. Oggetto delle indagini scattate nel 2016 non è solo la plusvalenza ma l’origine del denaro, che sempre in base alla procura proveniva da attività illecite. Secondo l’accusa, l’acquisto dell’immobile fu finanziato dall’imprenditore delle slot machine Francesco Corallo evasore, a detta delle pm, di 85 milioni di euro di tasse. Parte di quei milioni furono bonificati a Giancarlo Tulliani, cognato di Fini affinché li trasferisse e ne disponesse contro le pretese del fisco, a Elisabetta Tulliani, compagna del leader politico e a suo padre Sergio Tulliani. Si teorizzano condotte di riciclaggio e autoriciclaggio che avrebbero garantito agli imputati un profitto illecito di oltre 7 milioni di euro.
Fin qui l’ex presidente della Camera si è difeso accreditando l’ipotesi di un condizionamento «affettivo» nell’acquisto della famigerata casa, e della propria inconsapevolezza riguardo alla provenienza del denaro benché il capo d’imputazione lo indichi tra i responsabili della manovra di «occultamento» delle somme evase di Corallo. Assistito dagli avvocati Michele Sarno e Francesco Caroleo Grimaldi ha giurato di essere stato all’oscuro della provenienza di quelle somme.
In aula, Elisabetta Tulliani ha voluto rendere dichiarazioni spontanee difendendo il compagno e sostenendo che Fini fosse all’oscuro di tutto. Ma senza auto accusarsi: «Dopo un lungo travaglio interiore – ha esordito -, sento l’obbligo morale di offrire un contributo alla verità. Finora non ho partecipato al processo per non turbare, alla luce dell’eco mediatica, le mie figlie ancora adolescenti. Il processo ha già turbato la mia famiglia, ma il mio silenzio continuerebbe a danneggiare le persone a me care. Sento il dovere di confessare a collegio giudicante le mie responsabilità: ho nascosto a Gianfranco Fini padre delle mie figlie le intenzioni di mio fratello di acquistare la casa di Montecarlo. Ero certa che il denaro per l’acquisto fosse di mio fratello. Non ho mai detto a Fini del denaro ricevuto da mio padre, di cui ignoravo la provenienza. Il comportamento di mio fratello è la più grande delusione della mia vita. Mai avrei immaginato che mi avrebbe coinvolto in vicende che ho appreso dalle indagini e che mi hanno travolta».
Una versione che non combacia con quella fornita dallo stesso Fini che accusa Elisabetta Tulliani di essere parte dell’inganno anche perché era socia del fratello nella ditta che doveva rilevare la casa lasciata ad An: «Quella dell’appartamento di Montecarlo è stata la vicenda più dolorosa per me – aveva affermato in precedenza Fini – sono stato ingannato da Giancarlo Tulliani e dalla sorella Elisabetta. Loro insistettero perché mettessi in vendita l’immobile. Giancarlo mi disse che una società era interessata ad acquistarlo – ha proseguito – ma non sapevo che della società facevano parte lui e la sorella: la sua slealtà e la volontà di ingannare e raggirare credo si sia dimostrata in tutta una serie di occasioni». Tra le persone finite a processo anche l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Laboccetta. «Sono stato coinvolto in questo processo in seguito a decine di dichiarazioni false fatte da Labocetta per un astio politico, nei miei confronti, che era ben noto – ha sostenuto ancora Fini – Il 2010 era l’anno del mio scontro con Silvio Berlusconi, il clima era diventato incandescente e agli occhi di molti ero un bersaglio da colpire».