Va avanti l’inchiesta che vede indagati per epidemia colposa e omicidio colposo plurimo, tra gli altri, l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex ministro della Salute Roberto Speranza, nell’ambito della gestione della prima fase della pandemia di Covid, con particolare riferimento alle decisioni prese nel 2020 e che hanno interessato la Lombardia. Il collegio, formato da tre giudici civili estratti a sorte e presieduto dalla giudice civile Mariarosa Pipponzi, dovrà decidere entro novanta giorni se archiviare l’inchiesta oppure se presentare richiesta di autorizzazione a procedere alle Camere.
Una strategia di difesa non proprio edificante, quella scelta da Roberto Speranza, che ha di fatto scaricato ogni responsabilità. «Era inefficace ed è stato fatto di tutto per tutelare la salute degli italiani», ha detto sul mancato aggiornamento del Piano pandemico esistente. «Ho seguito rigorosamente le indicazioni del Cts», e questo, in verità, è parte del problema. Come ha riferito Guido Calvi, legale dell’ex ministro, ricostruendone dinanzi ai cronisti la deposizione, sarebbe stato il consulente della Procura, il biologo (e oggi senatore del Pd) Andrea Crisanti a «indurre la magistratura in errore», sostenendo che la raccomandazione del 5 gennaio 2020 da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità, in cui si invitavano gli Stati ad adottare misure concrete contro il nuovo virus, «fosse vincolante» per l’adozione del Piano pandemico.
Il parere di Andrea Crisanti è uno degli architravi dell’inchiesta. Una difesa, quella di Speranza, che appare assai debole poiché, vincolante o meno, quella dell’Oms era una direttiva piuttosto autorevole, almeno in quel primo momento. Il Piano, pur se datato al 2006, secondo i pm di Bergamo guidati dal procuratore Antonio Chiappani, se messo in campo, avrebbe comunque potuto limitare l’impatto della pandemia.
L’ex premier Giuseppe Conte, dal canto suo, pare aver colmato il “vuoto di memoria” che aveva lamentato davanti al tribunale dei ministri di Roma. «Ha risposto a tutte le domande, ha chiarito, ha ricostruito tutto quello che è accaduto a partire dal 26 febbraio al 6 marzo, e stato esauriente», ha detto l’avvocato Caterina Malavenda, legale di Conte, come riporta il Messaggero. Una parte dell’interrogatorio ha ruotato attorno alla “nota informale del 2 marzo del Cts” con cui l’Iss aveva prospettato al presidente la chiusura della Val Seriana, decisione che l’ex premier avrebbe rimandato per evitare costi economici e sociali eccessivi. Conte ha sempre sostenuto di essere stato informato sulla possibile zona rossa solo il 5 marzo 2020 (non il 2), di aver chiesto approfondimenti e di non aver mai avuto tra le mani la bozza (firmata da Speranza) per chiudere la Val Seriana.
Un atteggiamento attendista che, secondo un modello matematico che fa parte della consulenza della procura bergamasca firmata dal virologo Antonio Crisanti, causerà oltre 4.000 morti proprio in quelle zone. Morti che si sarebbero potuti evitare. La difesa di Conte si basa sul fatto che in quei giorni i contagi erano altissimi già in altre zone della Lombardia e infatti alcuni giorni dopo (il 7 marzo) si decise di chiudere tutta la Lombardia, e poche ore dopo, tutta l’Italia. «Conte ha spiegato tutto quello che è accaduto dal 26 febbraio al 6 marzo rispetto alla mancata zona rossa, ha risposto a tutte le domande, noi ci fidiamo della giustizia quindi aspettiamo che i giudici si decidano, confido che finisca tutto presto e bene», ha continuato il difensore Malavenda. Sempre la legale ha fatto sapere che depositerà anche Conte, come Speranza, una memoria difensiva.