Erano giovani, belli, figli di papà, illuminati dalle mille luci di New York. Troppo cool, troppo poco coraggiosi, troppo ricchi: li accusavano alcuni senza pietà. Geniali, stilosi, amabili e umili, secondo l’altra metà. Gli Strokes sono stati capaci di dividere l’opinione generale, proprio come succede alle grandi star. Si amano follemente e altrettanto decisamente si disprezzano, ma è innegabile che sono stati uno dei fenomeni rock’n’roll più convincenti d’inizio millennio.
Venti anni fa, il rock’n’roll era considerato moribondo, come sembra anche nel 2020. Rave ed elettronica erano i luoghi in cui si trovavano i ragazzi fighi e le pop boy-band dominavano le radio e Mtv. Apparentemente dal nulla (che era per dire l’underground americano pre-Internet), una nuova band un po’ retro divenne improvvisamente la cosa più eccitante da quando Kurt Cobain accese la miccia della grande esplosione alternativa del 1991. Era il 2001 quando cinque ragazzi newyorkesi figli della buona borghesia della Grande Mela, belli, imbronciati e con il look giusto, emersero dai club indie del Lower East Side a Manhattan. Tirarono fuori “Is This It”, un disco eccitante, con richiami espliciti a Velvet Underground, Patti Smith e Ramones. Ovvero la migliore tradizione rock della città. Canzoni nervose, minimali e sporche al punto giusto. Ti sembrava di averle già sentite ma suonavano fresche. L’album aprì la porta verso un breve periodo di successo. Il tempo di gettare quei semi dai quali sarebbero fioriti Libertines, White Stripes, Killers, King of Leon, Franz Ferdinand, Interpol, Yeah Yeah Yeah e Arctic Monkeys.
A distanza di vent’anni, dopo un drammatico scioglimento e un successivo periodo di prendi e lascia, gli Strokes sono di nuovo insieme. E sembrano gli stessi di vent’anni fa, come se il tempo non fosse passato. Snelli, belli, pantaloni sartoriali, camicie abbottonate fino al collo e un paio di Dr Martens ai piedi. Albert Hammond Jr ha solo i capelli un po’ più lunghi, mentre Julian Casablancas è più in sintonia con le mode e si è fatto rasare ai lati. Per il resto hanno l’aspetto di sempre. Anche nelle musiche, dicono i più cattivi, dopo aver ascoltato l’album “The New Abnormal”, in uscita il 10 aprile.
Eppure Albert Hammond, per sua stessa ammissione, è arrivato «vicino alla morte» al termine di una folle spirale di cocaina, eroina e ketamina. Mentre Casablancas ha affogato i suoi incubi nell’alcol. Motivi che portarono allo scioglimento della band, avvenuto in due tempi: nel 2006 e poi, dopo una breve riappacificazione, nel 2013. Adesso i due sembrano essere usciti dal buio del tunnel nel quale si erano sperduti.
«Due mesi dopo che uscì “Is This It”, ci fu l’11 settembre», ricorda Hammond in una intervista al The Guardian. «L’attenzione fu distratta e ci sentimmo obbligati a pubblicare un nuovo album immediatamente per la paura di vedere finire tutto subito. Ma il secondo disco non andò bene come il primo e il terzo è stato ancor peggio. Ci siamo lasciati prendere dall’ansia di prestazione». Perdendo il controllo delle proprie vite. E della band. All’interno della quale scoppiarono violenti conflitti.
Chi scelse la strada solitaria, chi si calò in progetti heavy metal, chi formò un nuovo gruppo. Poi, dopo aver toccato il punto più basso della parabola discendente, a inizio 2020, li ritroviamo a promuovere il loro sesto album, “The New Abnormal”, prodotto dal leggendario Rick Rubin.
The New Abnormal, sulla cui copertina spicca il dipinto “Bird on Money” del compianto Jean-Michel Basquiat, è uno dei migliori album che gli Strokes abbiano confezionato dagli esordi, con un intelligente aggiornamento della loro fusione originale di Velvet Underground, Ramones, Cars, Tom Petty. Ci sono tracce con una più profonda introspezione: sono di una straordinaria bellezza cinematografica “Selfless” e “Not The Same Anymore”, nella quale sembrano restituire il favore ad Alex Turner, il frontman degli Arctic Monkeys, che nel brano di apertura dell’album “Tranquility Base Hotel & Casino” canta: “Volevo solo essere uno degli Strokes”. “Dancing With Myself” di Billy Idol ispira “Bad Decisions”, un brano che avrebbe potuto facilmente apparire in“Is This It”, mentre “Eternal Summer” è un tuffo negli anni Ottanta e in “At the Door” si avvertono echi di Giorgio Moroder.
Rispetto ai precedenti lavori, ci sono testi notevolmente più politicizzati. «Sono stato sempre interessato alla politica», afferma Casablancas. Non è un caso, quindi, la loro partecipazione a un rally elettorale di Bernie Sanders nella sfida tra i democratici per conquistarsi la candidatura alla Casa Bianca e sfidare Donald Trump.
«Oggi, fortunatamente, nessuno si mette più a esaminare al microscopio ogni nostra mossa come succedeva prima», aggiunge Casablancas. «I media sono molto meno interessati alla nostra vita privata, ed è meglio così: è più facile sorprendere la gente con la propria musica e i propri dischi quando non sei continuamente sotto osservazione. A essere sincero, anche il rock’n’roll lifestyle ha cominciato a stancarmi».
Peccato che, come accadde nel 2001, anche questa volta gli Strokes dovranno affrontare un pubblico distratto. Allora fu a causa dell’attacco alle Twin Towers dell’11 settembre, oggi per l’incubo Coronavirus.