Allo scoccare degli 80 anni, sessantadue dei quali trascorsi a cantare praticamente tutto, oltre 1.400 canzoni in inglese, spagnolo, tedesco, giapponese, francese, coprendo un repertorio che va da Napoli a Frank Sinatra, dal Brasile ai Beatles, dal pop al rock’n’roll, da Jannacci a Battisti e ai più recenti duetti con Celentano e Fossati, dalla canzone d’autore all’Opera, fino ai brani di Natale, Mina si ferma per mettere ordine al proprio sterminato firmamento di canzoni e costruire un Italian songbook sullo stile della ben più celebre antologia americana.
Due dischi, in uscita il 27 novembre, 28 canzoni. Due copertine speculari, in rosso Orione, in blu Cassiopea, i colori delle storiche raccolte dei Beatles, e una vezzosa e adolescenziale treccia castana a far da variante al disegno del profilo del volto iconico di Mina, quello che è rimasto impresso nell’immaginario collettivo il 23 agosto 1978, il giorno in cui fuggì da un pubblico incantato e antropofago che l’amava e bramava, voce, corpo, gesto e fuoco, divorandola, sentendola di sua proprietà, negandole ancora, per troppa passione, il diritto a non essere che sé stessa e di sé stessa. Un atto di altri tempi, coraggioso anche allora, oggi forse irripetibile, sicuramente impensabile nell’era di Instagram e Tik Tok.

Dagli album del dopo il ritiro dalle scene prende le mosse l’ambizioso progetto di questo concept antologico che sarà arricchito da altri capitoli, il prossimo dei quali, alla fine del 2021, dedicato agli anni Sessanta. «Mia madre è la più famosa sconosciuta d’Italia», sostiene Massimiliano Pani dallo studio di Lugano in una surreale conferenza stampa via Zoom, nel corso della quale è costretto allo scomodo compito di dare voce al convitato di pietra, presenza invisibile e muta, conosciuta da tutti e da nessuno: sua madre.
“Dov’è Mina, è un disegno, è una canzone, è una specie di miraggio?” si chiedono, proprio in questi giorni, i Gemelli di Guidonia in un divertente rock’n’roll. «È la più famosa sconosciuta d’Italia perché per molte persone mia madre non ha fatto nulla dopo il suo ritiro», insiste Pani. «Non la vedono più in tv e quindi per loro non esiste. È l’immagine che dà la televisione, che la presenta sempre in bianco e nero, accanto a Corrado o Alberto Sordi, in trasmissioni da teche Rai. Quando le vede, mamma cambia subito canale. È anche per far conoscere quello che ha fatto dopo il ritiro che ha deciso di pubblicare questo doppio album», continua. «E poi molti dei suoi dischi non si trovano negli archivi degli store digitali. Nel momento in cui i negozi di dischi vanno a chiudere, bisogna colmare questa assenza. Cerchiamo così di renderli nuovamente disponibili».
D’altro canto, mancano i nuovi autori dei quali Mina è in continua ricerca. «Le arrivano 3/4mila canzoni l’anno, lei le ascolta tutte», rivela il figlio. Ma è difficile trovare altri Fossati, Battisti e Califano. Meglio andarli a cercare tra i solchi degli album del passato, dischi che arrivavano a vendere fino a un milione di copie. Cifre irraggiungibili oggi. Così in questo primo doppio capitolo dell’antologia musicale italiana di Mina si va da Lucio Dalla a Mogol, passando per Lucio Battisti, Renato Zero, Domenico Modugno, Gianni Morandi, Franco Califano, Gino Paoli, Vasco Rossi, Mia Martini, Alex Britti e Totò: pezzi celeberrimi già interpretati, come Caruso e Malafemmena, e «perle che non hanno avuto la giusta luce, come L’uomo d’autunno o Compagna di viaggio di Giorgio Faletti». E due inediti: Un tempo piccolo, canzone scritta da Franco Califano e affidata ai Tiromancino, e Nel cielo dei bars, cantata da Fred Buscaglione nel film Noi duri.

«I due inediti sono stati registrati quest’anno poco prima del lockdown e finiti subito dopo», dice Massimiliano Pani, spiegando la lavorazione del disco. «Abbiamo poi riaperto e risuonato cinque canzoni: Almeno tu nell’universo, Canzoni stonate, Il cielo nella stanza, alla quale abbiamo tolto gli archi anni Ottanta, Una lunga storia d’amore e Io domani, perché mia madre voleva aggiornarli, rimettere a posto alcuni suoni. Tutti gli altri pezzi sono quelli originali digitalizzati».
È stata la stessa Tigre di Cremona a scegliere i brani da inserire in questa prima parte dell’Italian songbook ed è sempre lei a indirizzare gli arrangiamenti, le modifiche nei suoni e nell’interpretazione. Alla stregua del Great American Songbook, in cui le canzoni sono indissolubilmente legate al jazz, anche nell’antologia italiana di Mina c’è un approccio jazzistico al canto. «Quest’operazione, che ha un qualcosa di enciclopedico, è in realtà il miglior modo per riappropriarsi di Mina, della sua sensibilità, del suo modo di sentire le canzoni e di reinterpretarle, offrendo a noi ascoltatori una nuova dimensione, anche su composizioni celeberrime», tiene a sottolineare Massimiliano Pani. «Mia madre è un’ascoltatrice dotata di un orecchio sopraffino che le permette di dire: “Bello questo pezzo ma non andrebbe fatto così”. Quando ascoltò La voce del silenzio a Sanremo, sbottò: “Ma non va cantata così”. E la cambiò la sera stessa, dandole un’altra intonazione», sorride, raccontando poi un altro aneddoto: «Alex Britti mi ha detto che il papà della sua fidanzata, quando ha ascoltato Ci sono io cantata da mia madre, gli fece i complimenti domandandogli quando l’avesse scritta. “Ma guarda che l’ho cantata prima io”, gli rispose Alex».
Questo progetto certamente non aggiunge nulla di più a quello che già abbiamo avuto modo di ammirare e apprezzare nella Tigre di Cremona. D’altronde, è dal 1974 che Mina non gioca più, come cantava nella sigla tv della trasmissione Milleluci. È una Mina famosa, ma forse sconosciuta a chi nasceva in quel fatidico 23 agosto di quarantadue anni fa, quando una affascinante e conturbante trentottenne uscì sparì dal mirino di occhi di bue e obiettivi per rintanarsi in un dorato esilio svizzero.