Maradona è stato tante vite, tutte imperfette. El Niño indio con la palla di stracci per i barrios di Villa Fiorito. El Pibe de oro che a meno di 16 anni faceva il suo esordio in prima squadra con l’Argentinos Junior. La mano de Dios che punì l’Inghilterra nei quarti di finale del Mondiale 1986. Il nuovo Masaniello che si fece simbolo consacrato del riscatto popolare di Napoli con l’arma del pallone. Tante storie nella vita di un eroe del fùtbol che non potevano non affascinare il cinema.
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Netflix propone ben tre titoli che raccontano tre momenti della sua turbolenta vita. Nel docu-film Diego Maradona di Asif Kapadia si dà spazio alla sua doppia personalità: Diego e Maradona, il campione e l’uomo vittima di troppi eccessi. Ritroviamo il Pibe de Oro in Maradona in Mexico sull’esperienza da allenatore dei Dorados di Sinaloa, squadra di serie B messicana della città famigerata per il cartello di El Chapo. Maradonapoli dell’italiano Alessio Maria Federici racconta invece l’amore tra Napoli e il suo indimenticabile numero 10. In Amando a Maradona, docu-film del 2005, diretto da Javier Vázquez, la macchina da presa passa ai momenti del Maradona calciatore, capace di magie incredibili sul campo, al Maradona uomo (specie nell’ultima parte) che deve combattere contro la sua debolezza e la sua dipendenza dalla cocaina: in tutto questo, rimane immutato l’amore degli argentini (come da titolo) verso il loro più grande campione.
Poi c’è il Maradona di Kusturica, diretto dal regista serbo nel 2008, e basato come altre pellicole dell’autore sul confronto tra la propria prepotente personalità e quella dell’intervistato. È un documentario che rasenta l’agiografia verso un personaggio che Kusturica ama e che giustifica in ognuna delle sue trasgressioni. Da sottolineare la scena in cui si vede un Diego Maradona molto ingrassato che canta La mano de Dios in un locale davanti alle figlie. Un film cult è Santa Maradona di Marco Ponti, uscito nel 2000, il cui titolo allude a una canzone dei Mano Negra e non direttamente al giocatore, che comunque compare in tutto il suo splendore nei titoli di testa dove invece compare Diego nell’unico ruolo di finzione cinematografica della sua vita è una scena del film Tifosi di Neri Parenti del 1999, un cinepanettone dove El Pibe de Oro compare ingrassato (e inseguito dal Fisco), nell’episodio “napoletano” con Nino D’Angelo e Peppe Quintale rapinatori inconsapevoli di un attico che appartiene proprio al loro idolo Maradona. Unico biopic finora realizzato è Maradona – La mano de Dios di Marco Risi del 2007, che racconta la vita dell’argentino dall’infanzia fino al capodanno del 2000 ed è interpretato, in età adulta, da Marco Leonardi.
Il più atteso è quello che sta girando Paolo Sorrentino: È stata la mano di Dio, una storia personale e intima nella Napoli degli anni Ottanta con le prodezze del fenomeno argentino a fare da cornice. «Diego non è morto. È solo andato a giocare in trasferta», ha commentato il regista alla notizia della morte di Maradona. Il campione la scorsa estate aveva però messo in guardia Sorrentino dall’uso della sua immagine per il suo ultimo film prodotto da Netflix, minacciando azioni legali. Il regista precisò: «Il film è un omaggio a Maradona solo nel titolo ed è legato a un tragico episodio della mia vita». Quando i suoi genitori morirono a Roccaraso a causa di una fuga di gas, lui si salvò proprio grazie a Maradona. I genitori, infatti, per la prima volta avevano acconsentito al figlio di andare a Empoli per seguire la squadra del cuore mentre loro sarebbero partiti per Roccaraso, dove avevano preso una casa per le vacanze. «Io rimasi a casa mentre loro si misero in viaggio, così mi sono salvato la vita grazie a Maradona», ha ricordato il regista. Da qui, la trama del film, che come lui stesso definisce, è «intimo e personale, un romanzo di formazione allegro e doloroso».
Super tifoso del Napoli, Maradona ricorre spesso nella vita di Sorrentino, tanto che tra i ringraziamenti per l’Oscar appena ricevuto a Los Angeles per La Grande Bellezza il regista aveva citato anche El Pibe de Oro in un pantheon dove lo aveva fatto accomodare con Fellini, Scorsese e i Talking Haeds. Al dio del calcio il regista napoletano ha dedicato metà della sua carriera. Il suo primo film, L’uomo in più è ambientato nel mondo del calcio, a Napoli, alla metà degli anni Ottanta, in piena età dell’oro maradoniana. In Youth, nel 2015, l’omaggio è esplicito: nel resort-casa di cura dove sono Harvey Keitel e Michael Cane c’è anche Diego Armando Maradona che sta facendo una cura per dimagrire. Non è lui, ovviamente, ma l’attore Roly Serrano è di una somiglianza impressionate; bellissima la scena in cui palleggia con una palla da tennis calciandola in alto e riprendendola al volo (il tutto fatto al computer, ovviamente, ma scena realistica se si pensa che queste cose Maradona le faceva veramente). Infine, in Young Pope, la serie Sky, un cardinale sotto la talare indossa la maglietta con il numero 10 di Diego.
Ma non solo Maradona. Dopo gli eroi della musica, adesso sono quelli della pelota a ispirare storie per il cinema e la televisione. Il gladiatore Francesco Totti, la bandiera più amata della storia della Roma, è il protagonista di due produzioni: il docufilm Mi chiamo Francesco Totti di Alex Infascelli e Speravo de morì prima, la serie tv di Sky Original dove il fenomeno di Porta Metronia è interpretato dal giovane figlio d’arte Pietro Castellitto, nel cast Greta Scarano nel ruolo di Ilary Blasi, mentre Monica Guerritore è la mamma del Pupone e Gianmarco Tognazzi il “nemico” Luciano Spalletti. Un altro giovane talentuoso interprete per un’altra leggenda del calcio italiano: Andrea Arcangeli sarà Roberto Baggio nel film Divin Codino che attraverserà tutta la carriera del numero di 10 di Fiorentina e Juve, con momenti di vita privata intervallati ad immagini di repertorio che narrano il finale di carriera in provincia senza dimenticare quella serpentina ubriacante contro la Repubblica Ceca a “Italia 90”. La Hollands Licht produce la serie tv ispirata al libro autobiografico di Marco Van Basten, Fragile, e Lucky Red distribuirà in Italia il biopic su Zlatan Ibrahimovic I Am Zlatan.
Il filone dei campioni del calcio sta letteralmente spopolando sulle piattaforme. Su Netflix in Sunderland ‘Til I Die le telecamere seguono passo dopo passo il cammino verso il riscatto del Sunderland per tutta la stagione 2017-18; mentre 89 è sulla storica vittoria dell’Arsenal sul Liverpool che ispirò anche il film cult Febbre a 90. E ancora Apache, biopic sulla vita di Carlos Tevez, e Ultras sulla tifoseria del Napoli. Senza dimenticare Barça Dreams, che racconta i sogni e le ambizioni di una lunga lista di celebrità che hanno trovato la gloria nello stadio Camp Nou: 115 anni di storia dello sport narrati dall’anno di fondazione del football club, il 1899, fino ad oggi.
Non è da meno Amazon Prime Video. Nella sua library troviamo titoli come Messi – Storia di un campione, documentario spagnolo del 2014 diretto da Álex de la Iglesia, Take us home sul Leeds United, la biografia di Steven Gerrard e il realistico Inside Borussia Dortmund, dove le telecamere mostrano cosa succede davvero fuori e dentro un rettangolo verde, tra furibonde liti e gesti di straordinaria amicizia. E poi lo splendido El Nùmero Nueve dedicato a Gabriel Batistuta, in cui si raccontano rinunce, sacrifici e gol del campione argentino di Fiorentina e Roma. Sempre su Amazon, il doc Pelé: O Rei e il biopic Pelé. La voce inconfondibile di Sandro Ciotti racconta invece Il profeta del gol: il calcio totale di Johan Cruiff.
E non solo allenatori nel pallone sul piccolo schermo. Molti “mister” diventano vere e proprie star, come Bobby Robson, al centro di More than a manager, mentre José Mourinho si racconta nella serie tv Parola di allenatore: regole di vita.
Se in passato era stato il pugilato ad affascinare il mondo del cinema, e poi le leggende dell’automobilismo e le fatiche del ciclismo, adesso sembra la più popolare arte della pelota a suggerire storie, epiche e appassionanti, gioiose e drammatiche. E chissà se un giorno una di queste possa diventare un copione da Oscar.