Al largo del Golfo di Sanremo non c’è la nave di Costa Crociere a fare da supporto alla corazzata Festival di Rai1 che martedì 2 marzo comincia la navigazione nel tranquillo mare della televisione. Le reti rivali hanno ammainato bandiera. Ha chiuso perfino la casa del Grande Fratello vip. L’unico pericolo rimasto è l’iceberg Covid che, causa il cambiamento climatico, minaccia le rotte mondiali con le sue più virulente varianti.
L’ammiraglia della flotta Rai salpa nella speranza di allontanarsi, almeno per una settimana, da un Paese in sofferenza per la pandemia e per l’aggravata crisi economica. Sul ponte di comando l’ex mozzo Amadeus. L’anno scorso, con grande sorpresa, ha conquistato i gradi di ammiraglio. Come Maria Antonietta, che ordinò brioches per sfamare il popolo, lancerà canzonette agli italiani costretti dal coprifuoco a stare seduti davanti al televisore.
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Ad Amadeus, e al suo compagno d’avventura Fiorello, è stato vietato di imbarcare sia viaggiatori paganti sia figuranti pagati. Lui insiste nella speranza di cambiare le carte prima della finale: «Almeno una cinquantina di spettatori». Tranne ripensamenti dell’ultimo momento, però, quest’anno i nostri due eroi saranno costretti a navigare a vista tra applausi finti e soltanto con il personale di bordo, già di per sé numeroso, tra maestranze, tecnici, concorrenti (26 Big e 8 Nuove proposte), orchestrali, vallette e ospiti a iosa (cantanti, attori, calciatori, allenatori, sportivi, giornalisti, infermieri e chi ne ha più ne metta) pagati a peso d’oro, per allungare il brodo e coprire 300 minuti di trasmissione, infarciti di “spottoni” venduti a peso d’oro. Tutti in mascherina, non quelle del Carnevale, ma Ffp2. Mascherine sulle piante, sui fiori, sui microfoni. Mascherine da usare e gettare e sostituire ogni pochi minuti. Irrorazioni di sanificatore, pioggia sanificata su chiunque, cantanti, coristi, orchestrali, conduttori, ospiti, guitti, personale, attrezzi. E tamponi gratis per tutti. Persino il pass stampa a tempo avverte quando stanno per scadere le 72 ore che devono passare tra un tampone e l’altro.
In piazza Borea d’Olmo, esattamente nel punto da dove si srotolava il tappeto rosso fino all’ingresso dell’Ariston, ci sono tre tende bianche: è lì che fanno i tamponi per quelli del Festival. Altre tende le hanno tirate su tra il Casinò e il convento dei cappuccini. Divieto di stazionamento e di transito per i pedoni davanti al teatro. Teatro off limits anche per la stampa, alla quale vengono proposte le prove registrate. Gli artisti attraversano l’entrata secondaria, sul retro del teatro, protetti in navette dai vetri oscurati e sanificate a ogni viaggio.
Doveva essere il Festival del sorriso, della normalità, passerà invece alla storia come il Festival dell’era Covid. Se fosse stato rimandato di un mese, con l’annunciata riapertura di teatri e cinema il 27 marzo, forse sarebbe andata diversamente e si sarebbe potuto davvero parlare di rinascita. Ma la Rai aveva fretta di andare all’incasso. Come diceva Frank Zappa: «Siamo qui solo per i soldi».
Piazza Colombo non è più il cuore pulsante della città. Al posto dei mega-truck con studi radiofonici a bordo e del palco esterno ci sono code di rider in attesa delle chiamate dei ristoranti per le consegne a domicilio. Deserto corso Matteotti, la via dello struscio. Oscurate le vetrine dei negozi che ospitano i collegamenti radio. Nessuno a scattare selfie davanti alla statua di Mike Bongiorno. Non è tempo di allegria sulla riviera ligure di ponente. La città si è svegliata in zona gialla, ma i vicini francesi continuano a far paura: Ventimiglia è in arancione “rinforzato” e Nizza è una sorta di mega-focolaio della variante inglese. Chiusi bar e ristoranti, vuoti gli alberghi: dagli 11mila posti letti esauriti ogni anno in occasione della settimana canora si è passati oggi ad appena mille camere occupate. Si rimane chiusi nella stanza di casa con un orecchio alle canzoni e uno alle sirene delle ambulanze.
“Questa è l’Italia del futuro, un Paese di musichette mentre fuori c’è la morte”, canta Willie Peyote in Mai dire mai (La locura) in gara al Festival. Perché, mentre il tragico elenco delle vittime del virus si aggraverà di giorno in giorno (proprio oggi si sono registrati quattro decessi per Covid all’ospedale di Sanremo), l’Ariston torna a fare rumore, giocando sul titolo della canzone vincitrice della scorsa edizione, diventata paradossalmente la colonna sonora dei silenzi del lockdown. Quest’anno si spera nel contrario. Che questo silenzio irreale che accompagna una manifestazione che per la città era una festa si trasformi in rumore.
Perché l’elenco delle vittime della pandemia che ha fatto tacere chitarre e batterie deve essere integrato con le 250mila famiglie di lavoratori dello spettacolo da un anno senza lavoro: una filiera, quella della musica live, che ha perso 700 milioni di euro nel 2020 e oltre 1,5 miliardi di euro di indotto, con cali di fatturato vicini al 100% e oltre 4mila concerti rimandati o annullati dall’inizio del lockdown e fino a settembre 2020. Con una prospettiva incerta per l’imminente estate e la quasi certezza che bisognerà aspettare il 2022 per vedere la luce alla fine del tunnel.
Ed è per questi motivi che sono in molti a vedere in questo Festival una occasione importante. Per non parlare soltanto di musica, né di gossip o battute. Il Festival s’ha da fare, ma non solo per i soldi e far riprendere ossigeno alla Rai in crisi. Il Festival s’ha da fare per affrontare problemi seri. “Riapriamo i teatri e i live” canta ancora Willie Peyote, mentre giovedì Lo Stato Sociale, nella serata delle cover e dei duetti, porterà sul palco dell’Ariston i lavoratori dello spettacolo. Fisicamente. «Tutti, nessuno e centomila: sarà un campione rappresentativo delle diverse categorie e professioni, società civile e volti noti». Proprio oggi, in piazza Colombo, sono arrivate le biciclette di “Ultima ruota”, la protesta su due ruote del mondo della cultura.
Sarà un Festival autarchico, “made in Italy”. Lontani i tempi in cui ad aprire la maratona era Bruce Springsteen, o gli U2 dialogavano con Berlusconi e D’Alema, oppure Peter Gabriel si lanciava sul pubblico. Dobbiamo accontentarci di Laura Pausini, fresca vincitrice di Golden Globe. «Il sapore internazionale è dato da una musica italiana conosciuta in tutto il mondo», sottolinea con un malcelato sciovinismo Amadeus, alla vigilia di quello che potrebbe essere il suo ultimo festival dopo tutti gli errori compiuti quest’anno (dalla previsione ottimista di fine emergenza per marzo, alla mancanza di un “piano b” in caso di calcoli sbagliati fino a una marea di cantanti e ospiti che porterà a chiudere alle 2 di notte). Né servirà, forse, il sostegno dell’amico Fiorello che lo ha candidato anche per il prossimo anno. D’altronde il risultato Auditel è scontato. Saranno ascolti senza uguali, a dispetto di chi inneggia al boicottaggio. Sempre se la corazzata Rai non andrà a incagliarsi nell’iceberg Covid.