Lo hanno ribattezzato il referendum della “Brexit elvetica“, perché mira ad abolire l’accordo con l’Unione Europea che prevede la libera circolazione dei cittadini europei nel territorio svizzero, in vigore dal 2002. Oggi la Svizzera, fuori dall’Unione Europea ma parte dell’area Schengen, torna alle urne su iniziativa del partito conservatore populista Udc (Unione Democratica di Centro) per esprimersi su un progetto di legge chiamato «Per un’immigrazione moderata», che spera di ripetere il successo del referendum per un tetto sull’immigrazione che vinse a a sorpresa con il 50,33% nel 2014 malgrado l’opposizione del resto dei partiti. Ma in questo caso, se vincesse il Sì, verrebbero messi in pericolo tutti gli altri accordi con l’Ue. Con conseguenze immediate per i frontalieri italiani, che ogni giorno varcano il confine.
Il quesito chiede di introdurre una modifica alla Costituzione svizzera che vieti qualsiasi trattato di libera circolazione delle persone. Ciò determinerebbe l’automatica decadenza dell’accordo in vigore con la Ue, che include anche la Svizzera nel cosiddetto «spazio Schengen» e che in pratica consente a tutti i cittadini comunitari di varcare liberamente i confini elvetici (e viceversa). Con la vittoria del Sì Berna avrebbe 12 mesi di tempo per negoziare un nuovo accordo con Bruxelles, altrimenti le frontiere si chiuderanno automaticamente entro altri 30 giorni. Ma l’accordo con la Ue contiene una clausola in base alla quale, la fine della libera circolazione farebbe crollare altri 6 accordi riguardanti tra le altre cose l’accesso delle imprese svizzere ai mercati europei o la libertà dei trasporti. Sarebbe un problema enorme per un paese che esporta quasi la metà dei suoi beni nell’Unione Europea, da cui peraltro arriva più del 60% delle importazioni.
L’Udc, il partito di destra sostenitore del referendum, sostiene che attualmente l’immigrazione in Svizzera abbia superato la soglia critica: il 24% delle persone attualmente residenti nel Paese sono stranieri, a loro vanno aggiunti i cosiddetti «frontalieri» (lavoratori pendolari che entrano ed escono ogni giorno dalla Confederazione). Tutto questo, secondo l’Udc, ha come primo effetto un calo dei salari medi per gli svizzeri. «Mettiamo fine all’immigrazione incontrollata e sproporzionata» sostengono chiedendo che di fatto la Svizzera torni ad avere il controllo dei suoi confini.
Molto ampio e composito è invece il «fronte del no», a partire dal governo e dalle organizzazioni imprenditoriali: lo stop all’ingresso degli stranieri determinerebbe una forte crisi nel reperimento della manodopera e un calo del Pil stimato tra il 3 e il 4% nel giro di una decina di anni. D’altro lato, la vittoria del sì avrebbe pesanti conseguenze sui 500.000 cittadini svizzeri che oggi lavorano all’estero. «Grazie agli accordi bilaterali con l’Ue – ecco la presa di posizione espressa dal governo sul sito ufficiale – le imprese svizzere, in particolare le Pmi, hanno un accesso diretto al loro principale mercato. Senza questo accesso sarebbero meno competitive. Gli investimenti nella piazza economica svizzera diminuirebbero e la produzione verrebbe trasferita all’estero. Il commercio con l’Ue risulterebbe più difficile e i prezzi in Svizzera aumenterebbero».
I sondaggi non prevedono grandi chances di affermazione, anche se i numeri divergono. Un’indagine commissionata dal canale di lingua tedesca della tv di Stato il 20 agosto scorso assegnava ai no il 61% dei consensi. Un analogo sondaggio dell’agenzia «Tamedia» vede la partita risolversi 56 a 41 sempre a favore del no. Paese con poco più di 8,6 milioni di abitanti, la Svizzera conta più di due milioni di residenti stranieri, senza contare i frontalieri che ogni giorno varcano il confine per andare al lavoro. Ogni giorno lo fanno circa 76mila italiani ed è significativo che il governo elvetico non abbia mai bloccato il loro ingresso, anche nei giorni più bui dell’epidemia di coronavirus.
Nel frattempo, sempre in tema di immigrazione, c’è un altro fronte aperto in Svizzera. Il governo del Canton Ticino ha avviato una puntigliosa e accanita verifica su tutti i permessi (di residenza o di lavoro) rilasciati a italiani. Una servizio della Rsi, il canale di lingua italiana della tv pubblica, ha rivelato che la polizia ha effettuato perquisizioni domiciliari, appostamenti, indagini sul passato dei possessori del permesso. Le revoche sono fioccate suscitando lamentele e ricorsi. Ma chi si è appellato al tribunale amministrativo chiedendo la restituzione del permesso, si è visto dare ragione in circa la metà dei casi.