Ergastolo doveva essere ed ergastolo è stato. Ratko Mladic, 74 anni, ex generale delle milizie serbo-bosniache nel conflitto che ha insanguinato i Balcani, è stato condannato al massimo della pena dal Tribunale penale internazionale per la ex-Jugoslavia, organo creato ad hoc dalle Nazioni Unite per giudicare i crimini di guerra compiuti durante le guerre che hanno portato, a partire dal 1991, alla dissoluzione della Jugoslavia. In riferimento al conflitto che ha piagato la Bosnia Herzegovina dal 1992 al 1996, Mladic è ritenuto responsabile di quello che è considerato il crimine contro l’umanità più grave avvenuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale: il massacro di Srebrenica e la pulizia etnica in Bosnia.
LA SENTENZA. Da soldato vecchio stampo, Mladic ha ascoltato la sentenza ritto sul suo podio, rifiutando di sedersi nonostante i solleciti della corte, e inveendo contro i giudici che lo stavano condannando a passare il resto della sua vita in prigione. Nelle motivazioni date dal giudice, l’imputato “volle portare avanti una campagna micidiale di bombardamenti e cecchini a Sarajevo, perpetrando inoltre nel villaggio di Srebrenica genocidio, persecuzione, sterminio, assassinio e atti disumani attraverso trasferimenti forzati”. Parole che rendono l’idea di una mattanza che portò, nella sola Bosnia, dal 1992 al 1995, a piangere la morte di quasi 40 mila civili inermi. L’ex comandante è stato invece assolto dall’accusa di genocidio per il complesso delle azioni criminali avvenute nello stesso periodo in quanto non è stato provato che il genocidio fosse l’obiettivo di tali operazioni.
I CRIMINI. Tra i delitti più efferati e atroci di cui Mladic, mai pentitosi delle sue azioni, si è reso tristemente protagonista durante il conflitto bosniaco, si ricordano l’assedio di Sarajevo, portato avanti dal 1992 al 1996, nel quale si stimano oltre 12 mila morti e 50 mila feriti, e, soprattutto, il massacro di Srebrenica, nel quale oltre 80 mila bosniaci musulmani vennero sistematicamente rastrellati, trucidati e infine occultati nelle fosse comuni. Operazioni queste riconducibili al disegno di pulizia etnica portato avanti dai serbo-bosniaci, che rappresentavano circa il 30% della popolazione della Bosnia Herzegovina, nei confronti dei bosniaci musulmani, presenti in maggioranza nella zona rappresentando il 44% degli abitanti.
UN ODIO VISCERALE E ANTICO. Il disprezzo e l’odio che Mladic nutre nei confronti dei musulmani bosniaci, oltre che dei croati, deriva già dalla sua infanzia: suo padre venne infatti ucciso, durante la seconda guerra mondiale, dagli Ustascia, movimento indipendentista croato filonazista e appoggiato al tempo anche dai cetnici bosniaci. E così, crescendo nell’odio verso le etnie diverse da quella serba a cui lui apparteneva, Mladic colse l’opportunità di vendicarsi personalmente nei conflitti che hanno smembrato la Jugoslavia durante gli anni 90, quando nel grande paese balcanico le spinte indipendentiste delle varie nazioni giunsero al culmine, provocando tensioni politiche poi sfociate in conflitti militari, i più gravi che l’Europa avesse conosciuto dopo il 1945.
FIGURA AMBIGUA IN UN TERRITORIO AD ALTA TENSIONE. E se la condanna di Mladic è stata festeggiata con soddisfazione a Sarajevo, dall’altra parte del cielo, a Belgrado, il generale è ancora visto da molti come un eroe. A distanza di quasi vent’anni dalla fine dei conflitti balcanici, accanto a una tregua di facciata tra i governi della zona, permangono tensione, odio e diffidenza tra le varie etnie presenti. Da stato unitario capace di sopravvivere nonostante differenze religiose, linguistiche e di costume sotto la guida autoritaria del Maresciallo Tito, la Jugoslavia si presenta oggi come un insieme di stati con all’interno forti tensioni etniche. Dopo la secessione, nel 2006, di Serbia e Montenegro, ad esse si affiancano nazioni di respiro più europeo, come Croazia e Slovenia, e altre più economicamente arretrate, come Bosnia Herzegovina e Macedonia. Sono ancora vivi inoltre conflitti non ancora sopiti né a livello popolare né tantomeno politico, come ricorda la sempre complicata situazione del Kosovo, conteso tra la Serbia, l’Albania e gli indipendentisti kosovari. In quella che agli inizi del novecento veniva definita una “polveriera”, tra antichi campanilismi e antipatie, una sola cosa è certa: l’Europa dei civili non ha più voglia di vedere carnai dissotterrati.