Datemi un martello
Che cosa ne vuoi fare?
Lo voglio dare in testa
A chi non mi va, sì, sì, sì
(“Datemi un martello”, 1964)
Di martellate Rita Pavone ne ha date tante nella sua carriera. Sin da quando, negli anni Sessanta, ragazza-maschietto, piccolina, rossiccia e lentigginosa, smontava la donna tutte curve e tutta permanente. Ha 18 anni quando con “La partita di pallone” conquista la vetta della hit parade, ma ne dimostrava 14-15, tanto da farla diventare oggetto d’indagine da parte di Umberto Eco in “Apocalittici e Integrati”: «Il fascino della Pavone stava nel fatto che in lei quanto sino ad allora era stato argomento riservato per i manuali di pedagogia e gli studi sull’età evolutiva, diventava elemento di spettacolo» scrive l’autore de “Il nome della Rosa”.
Gian Burrasca in tv nel 1964, Gian Burrasca anche nella vita. In pieno 1968 è protagonista di un matrimonio scandalo con il suo Pigmalione Teddy Reno. Sotto accusa la grande differenza d’età (23 anni lei, 42 lui) e il fatto che Reno era ancora sposato con Vania Protti da cui aveva avuto un figlio e da cui si era separato (in quegli anni il divorzio in Italia non era legale). «Per questo motivo oggi vivo in Svizzera, perché è il Paese che mi ha permesso di sposare Teddy Reno, concedendogli il divorzio» sottolinea l’ex Pel di Carota.
Ne ha date di martellate Rita, ma ne ha anche prese. Il matrimonio con Teddy Reno taglia le ali allo scricciolo della musica italiana. Poi deve affrontare la separazione dei genitori (molto chiacchierata sui rotocalchi di quegli anni), il cambio di casa discografica (dalla RCA alla Ricordi e poi ancora alla RCA dopo aver rifiutato una partecipazione a Sanremo) e il contemporaneo allontanamento dal piccolo schermo. La Rai infatti mise da parte per anni Rita in seguito alla causa intentata da lei e Reno, poi vinta, per un’irriverente imitazione di Alighiero Noschese proposta a “Doppia Coppia” e poi cancellata.
Anche con Pippo Baudo i rapporti non sono stati mai sereni. «Forse gli sto antipatica. Le pare possibile che in tanti anni di carriera mi abbia invitata solo un paio di volte ai suoi programmi?». Così non è un caso se, in oltre 50 anni di carriera, per la ragazza del Geghegé le porte dell’Ariston si siano aperte soltanto tre volte: nel 1969 con “Zucchero”, nel 1970 con “Ahi ahi ragazzo”, nel 1972 con “Amici mai”. «Era una canzone bellissima, fu sbattuta fuori alla prima serata. Ma mi portò fortuna, perché ebbe successo in Sud America e mi aprì le porte della Francia».
Sulla strada del declino, non è mancato un pensierino alla politica. Nel marzo 2006 – dopo aver annunciato durante la trasmissione di Rai 1 “L’anno che verrà” il suo ritiro a vita privata (poi interrotto a partire dal 2013) – si candidò alle elezioni per il Senato, Circoscrizione Estero nella lista Per l’Italia nel Mondo di Mirko Tremaglia. Non fu eletta. «Mi feci convincere da Mirko Tremaglia. Avrei voluto correre in Sudamerica e invece mi ritrovai nella Ripartizione Europa… E comunque no, ho capito che la politica è solo un dare e avere, non c’è sincerità. Però feci bellissimi incontri, come con gli ex minatori del Belgio».
Quella politica sulla quale è tornata a scivolare nelle polemiche recenti con l’attacco della cantante contro i Pearl Jam schierati pro-porti aperti («Della serie: ma farsi gli affari loro, no?») e quello contro l’ecologista Greta Thunberg (definita «personaggio da film horror», paragone di cui poi si era scusata). Parole che hanno scatenato una bufera social, trasformando il suo “Viva la Pappa con il pomodoro” in un inno sovranista. «Mi definisco liberale» replica lei. «Amo la libertà. Guardo le cose, non il partito cui appartiene chi le dice. Ho ringraziato Salvini per i complimenti nei miei riguardi, come ringraziavo Palmiro Togliatti che parlava bene di me a tutti. Siamo in mezzo a gente insana… Forse si capirà perché sono mancata per 47 anni dal Festival…».
Questa edizione dei settant’anni le piace per la formula “all inclusive” che caratterizza il cast dei cantanti in gara: «Trovo che ci siano bei nomi», sottolinea la cantante-simbolo dell’età d’oro del 45 giri e dei musicarelli. «Ci sono artisti importanti che si sono rimessi in gioco». Come lei, appunto. «Ho 74 anni, ma la mia voce non l’ha ancora capito. Se non mi guardo allo specchio non me lo ricordo neanche io. E dato che il tempo non si è accorto dell’errore, io vado avanti per la mia strada. L’età anagrafica è solo per la carta d’identità: quello che si ha dentro non sempre rispecchia quello che si è fuori. Tutti hanno il diritto di dimostrare le loro capacità. La modestia non deve essere ipocrisia e io so di avere ancora una gran bella voce. Non ho la presunzione di pensare di vincere, voglio soltanto far scoprire una Rita Pavone che non è più quella del Geghegé, ma che sa dare ancora tanta energia».
E dopo Sanremo? «Non mi pongo limiti, se non quelli dell’età. Se il fisico regge e la voce funziona – assicura – ne avrò ancora per una decina d’anni».
Picchia più forte, non lo vedi che sto in piedi
Non ti accorgi che non servirà
Non hai mai saputo spezzarmi, travolgermi
Resto qui nel fitto di un bosco
[“Niente (resilienza 74)”, 2020]