Quella che in seguito diventerà una piece allestita prima a Broadway, poi a Londra, e più tardi ancora, nel 1973, un capolavoro del cinema, agli inizi era semplicemente un disco. Jesus Christ Superstar fu pubblicato esattamente cinquant’anni fa. L’album uscì con una copertina stramba che si apriva e chiudeva come una busta per lettere. Era colorata a mo’ di caleidoscopio visto controluce e all’interno c’era un compendio di arte sacra: sedici rappresentazioni del volto di Cristo fra le quali – tra Giotto, Leonardo e Piero della Francesca – trovano spazio le opere di Nicholas, Trevor, Julie e Gary, quattro alunni di una scuola londinese. Un cimelio per collezionisti.
«L’album Superstar è stato un incidente» ricorda Lord Andrew Lloyd Webber, il compositore vincitore di numerosi Grammy le cui opere hanno dominato Broadway per quasi cinque decenni, autore insieme con Tim Rice dell’opera su Gesù Cristo. «Nessuno pensava che fosse possibile portarlo sul palco. Superstar è stato scritto come un dramma radiofonico, perché era la cosa più vicina a noi e più alla portata di mano. Penso che funzioni meglio quando è più vicino a un concerto rock che a uno spettacolo teatrale».
Gesù Cristo è diventato “superstar” davanti alle acque del mar Ligure. Era la primavera del 1969 quando l’allora ventenne e sconosciuto Andrew Lloyd Webber compose la canzone Superstar, sul testo dell’amico ventitreenne Tim Rice nella villa della zia alla Mortola, vicino a Ventimiglia. Da lì nacque l’opera rock Jesus Christ Superstar un doppio album con un’orchestra sinfonica di 85 persone, sei musicisti rock, tre cori. La parte di Gesù venne interpretata da Ian Gillan, leggendaria voce dei Deep Purple, Murray Head fa urlare Giuda, mentre Yvonne Elliman si identificherà con Maria Maddalena. Fu l’album più venduto negli Stati Uniti nel 1971.
«Non avevo idea che avrebbe avuto tanto successo», commenta oggi un settantaquattrenne Ian Gillan. «È stato un progetto profondamente interessante e Tim Rice è stato molto utile. Non ci volle molto, soltanto due sessioni di tre ore. Ero un po’ scoraggiato dall’idea di provare a interpretare la parte di Gesù Cristo, e Tim mi disse: “Guarda Cristo come una figura storica, non come una figura religiosa, e lo troverai un po’ più facile”. Si dimostrò un ottimo consiglio … fino a quando non sono arrivato alla scena dalla croce, che ovviamente era abbastanza profonda. A parte questo, finirono i soldi e non potevano pagarmi la mia quota … quindi Tim si scusò: “Mi dispiace Ian, ti avrei dovuto dare 200 sterline, ti dispiacerebbe avere una royalty invece?”. Una scelta che si rivelò poi azzeccata, guadagnai molto di più di 200 sterline», ride.
«In seguito mi fu offerto anche di partecipare al film, ma l’ho rifiutato», continua Gillan. «Non ho mai avuto alcun interesse a recitare. Non sono un attore, sono un musicista. Non mi è mai piaciuta l’idea di stare in un posto per settimane e settimane forse mesi e mesi».
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Il produttore Roger Stigwood decise di farne uno spettacolo teatrale che debuttò a Broadway nel 1971 con la regia di Tom O’Horgan (il regista di Hair) mentre a Londra debuttò nel 1972 per rimanervi otto anni e diventare con 3.358 rappresentazioni il successo più duraturo del West End. Ancora oggi è in scena in decine di Paesi del mondo. Ed è pronto il tour del cinquantennale, bloccato al momento dall’emergenza Covid-19. Nel cast: Aaron LaVigne (Spider Man: Turn Off The Dark e Rente) nel ruolo di Gesù, Delisco Beeks (Kinky Boots, Aida) è Giuda, mentre Jenna Rubaii (American Idiot) è Maria Maddalena.
Lo stesso Stigwood produsse nel 1973 il film. Lo dirige Norman Jewison, definendo i canoni del cinema musicale, dando la forma definitiva alla messa in scena di uno spettacolo che non è solo uno dei più clamorosi successi della storia del musical, ma l’ha cambiata per sempre.
Fra ritmi rock e soul, le liriche di Rice, provocatorie e sorprendenti per originalità, scavano nell’animo di un Gesù uomo, confuso e a volte spaventato dalla sua missione, e fanno di Giuda un predestinato da Dio alla dannazione eterna. All’epoca Tim Rice spiegava: «Abbiamo trattato il Cristo più come uomo che come Dio: noi, come autori non prendiamo posizione. Però il primo spunto ce l’ha offerto proprio il decano di San Paolo che una volta ci ha detto: “Prendete Gesù e portatelo via dalle vetrate istoriate”. Come base abbiamo scelto il Vangelo di Giovanni. Mi sono servito anche della Vita di Cristo scritta dal vescovo cattolico americano Fulton Sheen e di quella scritta dall’italiano Marcello Craveri». Un’opera meditata, quindi che in cinquant’anni è diventata un classico, anche in tante parrocchie, nonostante le polemiche che l’accompagnarono agli inizi.
Ai festeggiamenti per il cinquantenario di Jesus Christ Superstar partecipa anche il pianista jazz Stefano Bollani con una sua rilettura personale che ha avuto il via libera da Andrew Lloyd Webber. «Abbiamo chiesto l’autorizzazione e ci è stata concessa, nonostante Lloyd Webber non ami che le sue musiche vengano eseguite diversamente da come lui le ha pensate. Un’esigenza che, ad esempio, sentivano anche Puccini e Verdi. Gli ho mandato il disco, ora sono in attesa di un suo parere», racconta Bollani, al telefono dalla sua casa romana.
La scelta di dedicarsi a Jesus Christ Superstar parte da molto lontano. «Da quando avevo 13 o 14 anni e ho visto per la prima volta il film, innamorandomene», rivela il musicista. «Conosco a memoria ogni passaggio, ma solo l’anno scorso ho deciso di mettermi al piano. Ho scelto la forma del pianoforte solo perché la storia d’amore è tra l’opera rock e me. E una storia d’amore cresce in bellezza se resta intima».