Sono giorni questi di quarantena forzata, ma da cui si possono imparare tante cose. Forse possiamo riscoprire il piacere della fantasia e della lettura e immergerci in mondi che, anche se non esistono, possono dirci tanto sulla vita. È ciò che mi è capitato leggendo “L’imitazion del vero” (TerraRossa Edizioni, 2020), una bella novella di Ezio Sinigaglia, un autore fuori dagli schemi e molto distante da quella che è la narrativa italiana dominante.
In questo libro l’autore ci porta in una città lontana nel tempo, in un mondo nuovo e impensabile, distante dalla realtà ma allo stesso tempo verosimile, in cui qualunque lettore può ritrovarsi. Lì vive un ‘artefice’ cioè un falegname, che sapeva costruire oggetti straordinari: sedie che potevano mutarsi in tavoli o cassetti che diventavano bauli, macchine che a comando potevano muoversi, ordigni che facevano apparire sul soffitto il cielo stellato.
Per queste sue qualità dai più era ritenuto quasi un mago, e principi e signori dalle quattro parti del mondo lo cercavano per fargli costruire degli apparecchi per allietare l’arrivo dei propri ospiti. Il suo nome era Landone ed era un uomo di bell’aspetto, dagli occhi chiari e dalla figura carismatica. Quando passava per strada tutti si fermavano a guardarlo e i lopeziani lo consideravano felice, ma lui non lo era in quanto aveva tutto ma non ciò che veramente desiderava. La sua inclinazione naturale lo portava infatti ad amare i giovinetti, e ciò non era conforme a quanto le norme sociali prescrivevano, e per questo soffriva.
Anche se nessuno se ne accorgeva era solo più degli altri uomini e nessuno coglieva il dramma che si celava dietro la sua apparente operosità e solarità. La natura infatti di certo avrebbe provveduto in qualche modo a placare le sue passioni, ma a impedire che ciò avvenisse c’era la società e una legge che puniva con terribili castighi i peccati di sodomia e che lo costringeva a fingere di essere ciò che in realtà non era.
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La vita del protagonista, che passava i suoi pomeriggi alla corte del Principe Tancredi, che doveva festeggiare il ventesimo anno del suo regno e voleva sbalordire tutti i suoi ospiti, cambiò con la morte del suo garzone di bottega e soprattutto con l’arrivo in città di un ragazzo bellissimo, Nerino (era nero di occhi e scuro come un saraceno e dal sorriso bianchissimo), che andò a bussare alla sua porta e gli domandò di diventare il suo nuovo apprendista. Il giovane fece bruciare il maestro di passione e quest’ultimo per averlo inventò una macchina che imitava il piacere carnale. Da quel momento fino alla conclusione della novella i due seguono percorsi esistenziali diversi: Landone inganna Nerino, ma poi è ingannato da lui; quest’ultimo a sua volta inganna il maestro e anche Petruzzo ed entra in quelli che sono i meccanismi complessi degli adulti. I due protagonisti alla fine della novella riescono ad andare oltre le astuzie della ragione e a scoprire così un dialogo più maturo e autentico.
Sinigaglia in questo libro come in altri, sull’esempio della grande tradizione italiana del Novecento, porta avanti una propria ricerca linguistica e tematica. Egli entra nella dimensione psichica dei suoi personaggi, ne esplora le zone d’ombra, le passioni oscure e profonde. Di Landone ad esempio vengono raccontati con candore i moti dell’animo, le sofferenze d’amore e dei sensi. Di Nerino invece rappresenta con rara delicatezza l’innocente bellezza vagamente pagana e il modo in cui viene iniziato all’eros e alla vita adulta.
Questa novella ci offre in modo non convenzionale, senza alcun pregiudizio ideologico, e in una forma quasi casta e pudica, una bellissima riflessione sul tema dell’omosessualità. L’autore inoltre medita sul difficile rapporto fra istinto naturale e strutture sociali e inventa una lingua tutta sua, diversa da quella corrente, forgiata sul modello della tradizione, e volutamente letteraria e poetica. Per mezzo della parola costruisce un piano parallelo rispetto a quello della realtà e rifugge da ogni tentativo di realismo. Egli non riproduce mai il vero, ma lo imita, ne riflette nello specchio della scrittura gli aspetti, le oscure contraddizioni, la continua alternanza di verità e finzione, i drammi profondi che si celano in esistenze apparentemente felici.