Hollywood, nuova serie originale Netflix firmata da Ryan Murphy e Ian Brennan, è ben scritta e intreccia gli elementi di finzione con storie e aneddoti su personaggi dell’industria cinematografica di quegli anni. È una favola edulcorata e tutto va come deve andare. Volutamente, la realtà è rivisitata e, stavolta, è magnifica. Ma purtroppo la vita reale è stata molto più ingiusta con i veri protagonisti. E soprattutto la battaglia per l’uguaglianza dei diritti è stata ben più lunga e sanguinosa. Ma visto che la storia andava riscritta, perché non farlo in maniera idilliaca? E perché non farlo fino in fondo?
Al centro di tutto l’intreccio narrativo c’è Peg Entwistle, la cui storia scatena la fantasia dell’autore Archie Coleman (Jeremy Pope) e del regista Raymond Ainsley (Darren Criss). Se questi due sono frutto di pura invenzione, Peg, al secolo Millicent Lilian Entwistle, era figlia di attori britannici. Apparsa in un solo film, iniziò la sua carriera come attrice di Broadway, salvo poi trasferirsi nella città degli angeli per inseguire il suo sogno di diventare una star. Dopo un breve e sfortunato matrimonio fallito che le portò anche guai finanziari, quando con la Grande Depressione il film Thirteen Women fu bloccato dallo studio e la sua parte tagliata, si suicidò lanciandosi dalla Hollywood Sign nel settembre del 1932 a soli 24 anni. Scherzo del destino o strategia di marketing, il film fu distribuito un mese dopo la sua morte. Vicino al corpo fu trovato un biglietto che riportava “I am afraid, I am a coward. I am sorry for everything. If I had done this a long time ago, it would have saved a lot of pain. P.E.”. Da allora Peg è diventata una sorta di protettrice degli attori sfortunati. Ma anche una leggenda metropolitana con apparizioni al profumo di gardenia, che si respira in certe notti sulle colline di Hollywood. La rivisitazione della serie omaggia la sfortunata ragazza, regalandole notorietà e un finale del tutto diverso.
Camille Washington, il personaggio interpretato da Laura Harrier, non è mai esistito. Almeno non con questo nome. Gli autori potrebbero essersi ispirati a Lena Horne, attrice afroamericana con origini europee e nativo-americane. Fu la prima black diva a firmare un contratto con una major cinematografica e a raggiungere la fama internazionale. Vinse numerosi Grammy e fu anche attivista politica (motivo per cui negli anni 50 subì uno stop) e partecipò alle battaglie per la difesa dei diritti civili e contro la discriminazione razziale. Il pensiero però va anche a Dorothy Dandridge, prima afro-americana a essere nominata a un Oscar come attrice protagonista, premio però negatole da Grace Kelly per “La ragazza di campagna”.
Interpretata da Katie McGuiness, Vivien Leigh è presentata in occasione di una serata organizzata da George Cukor, in occasione della quale recita una sua battuta da “Via col vento”, prova della grande memoria, esercitata fin da bambina grazie alla dedizione della madre. In seguito, in una scena con Ernie West, la vediamo in preda a “episodi” isterici e maniacali, alternati a momenti di iperattività, in cui sistema freneticamente la propria collezione di bracciali. Le crisi dovute al disturbo bipolare, patologia che ha pesantemente condizionato il rapporto con i registi che l’hanno diretta e con il marito Laurence Olivier, iniziarono nel 1944 dopo un aborto spontaneo e la diagnosi di tubercolosi (di cui soffrì per tutta la vita e causa della sua morte nel 1967). Caduta in una lunga depressione che ne compromise il fragile equilibrio psicologico, fu sottoposta a “terapia” da elettroshock ma riuscì comunque a interpretare il ruolo di Blanche Dubois sia a teatro, con più di 300 repliche, che al cinema, in Un tram che si chiama desiderio di Tennessee Williams: aveva fortemente voluto per sé il ruolo che avrebbe interpretato anche sul grande schermo accanto a Marlon Brando e che le avrebbe fatto vincere il secondo Oscar della sua carriera dopo quello ottenuto per Rossella O’Hara in Via col vento. Si racconta che Vivien fosse entrata nella parte a tal punto da non esser più in grado di scindere il personaggio dalla vita reale: al termine di una serie di vicissitudini – tra cui l’ennesimo esaurimento nervoso – nel 1958 decise di divorziare.
Queen Latifah interpreta Hattie McDaniel, che nel 1940 si aggiudicò l’Oscar alla migliore attrice non protagonista nel ruolo di Mami in “Via col vento”. Fu la prima statuetta per un’afroamericana, ma lei, che recitò in almeno altri 300 film, rimase comunque relegata a ruoli di secondo piano e generalmente di domestica. Quando si presentò nella grande sala del Coconut Grove Restaurant dell’Ambassador Hotel – dove era ospitata la 12esima edizione degli Academy Awards – trovò davvero il cartellino con il suo nome collocato su un tavolino isolato, lontano da tutti, allestito per due sole persone: lei e il suo agente, bianco, William Meiklejohn. Al momento della premiazione, presentata da Fay Bainter, ricevette la statuetta, ringraziò i membri dell’Academy e con le lacrime agli occhi disse che quello era il giorno più bello della propria vita e che nutriva la speranza in futuro ci potesse essere più riguardo per le attrici di colore. In applicazione di alcune regole relative alla segregazione razziale non le fu consentito nemmeno scattare le foto di rito post premiazione né di partecipare all’after party con gli altri vincitori.
Roy Harold Scherer jr. veniva davvero da Winnetka in Illinois, figlio di genitori divorziati e adottato dal patrigno Wallace Fitzgerald, ex marine alcoolizzato che lo picchiava ripetutamente e si opponeva alle sue ambizioni da attore. Il primo vero ruolo cinematografico di Rock Hudson arrivò nel 1950 e la sua immagine, così come il cambio di nome, fu curata da Herny Willson, che insistette affinché si rifacesse i denti. È storia anche il suo tragico esordio davanti alla telecamera: nel film Falchi in picchiata ci vollero ben 38 ciak per fargli pronunciare correttamente una battuta. Divenuto celebre per la sua prestanza fisica, finì per incarnare l’ideale del sex symbol, recitò accanto alle donne più belle del cinema, da Elizabeth Taylor a Doris Day, ma ebbe molte relazioni omosessuali, fra cui quella con il regista e ballerino Jerome Robbins. Tuttavia fu addirittura costretto a un matrimonio di copertura, organizzato dal suo agente, con la sua segretaria Phyllis Gates, per porre freno ai gossip. Il matrimonio durò appena tre anni. Inoltre, nel 1955 la rivista scandalistica Confidential tentò di diffondere un articolo compromettente sulle sue preferenze sessuali e la Universal finì per pagare ben 10.000 dollari per impedirne la pubblicazione. Immaginando una Hollywood più aperta e inclusiva di quanto realmente fosse, il personaggio interpretato da Jake Picking fa coming out sul red carpet in una scena “alternativa” di grande valore. Rock Hudson è anche passato, tristemente, alla storia per essere stato il primo personaggio famoso ad ammettere di aver contratto l’Hiv e a morire di Aids. La notizia divenne presto un caso mediatico mondiale, contribuendo a spingere l’opinione pubblica a una presa di coscienza nei confronti della malattia.
Anna May Wong è considerata la prima vera star sino-americana, protagonista di una carriera decennale che attraversò sia il cinema muto che quello sonoro, la televisione, il teatro e la radio. La serie ben restituisce le sue frustrazioni per non essere più stata impiegata in ruoli da protagonista. Un dramma reale originato, dopo i successi in Europa, con il film The Good Earth del 1937, tratto dall’omonimo romanzo di Pearl S. Buck e incentrato sulla storia di una donna schiava che vive in una fattoria. Eppure la produzione MGM impose al regista un’altra attrice dato che – secondo le idee del tempo – il pubblico americano non avrebbe mai accettato un’asiatica in un ruolo principale. Luise Rainer ebbe così la parte che le valse il premio Oscar, determinando la Wong al ritiro fin quando, ben 5 anni dopo, nel 1942, tornò da protagonista davanti la macchina da presa nel film La dama di Chung-King. Il “what if” della serie che vede Wong (interpretata da Michelle Krusiec) premiata con l’Oscar ridà, seppure nella finzione, pace alla memoria dell’attrice morta nel 1961. Confinata in ruoli stereotipati da bellezza esotica, tentatrice e pericolosa a favore di colleghe occidentali pesantemente truccate da orientali, le sono state attribuite relazioni – mai confermate – con il re dell’horror Tod Browning (ai tempi sposato e molto più anziano di lei, e con la sua partner in scena nel film di Josef Von Sternberg Shanghai Express (1932) Marlene Dietrich. Rimase nubile per scelta personale – come raccontava negli anni Cinquanta – forse anche legata alle restrittive leggi contro i matrimoni misti che rimasero in vigore negli Stati Uniti fino al 1967 quando furono dichiarate incostituzionali.
L’eccelsa star di “The Big Bang TheoryW Jim Parsons interpreta invece l’agente delle star e talent scout di divi Henry Willson (fra i suoi talentuosi e attraenti protetti anche Lana Turner, Chad Everett, Guy Madison, Mike Connors e Rory Calhoun). Uno dei suoi primi clienti e amanti fu Junior Durkin, che però perse la vita in un incidente stradale nel 1935. Nel terzo episodio della serie, la vicenda è narrata dallo stesso Wilson a Rock Hudson quando gli rivela che in lui rivede qualcosa del suo amante defunto. Descritto come diabolico, disgustoso e predatore, Willson era cresciuto con un padre severo che lo mandò in un collegio per renderlo più virile. Influente a Hollywood proprio perché abusava dei suoi clienti e affidava i ruoli e i provini in cambio di favori sessuali, era noto nell’ambiente fosse omosessuale. Di lui Ann Doran, una delle poche attrici che rappresentava, disse: “Se un attore giovane e bello aveva Henry Willson come agente, era dato praticamente per scontato che fosse gay, come se ce l’avesse scritto in fronte”. Negli ultimi episodi dello show, lo vediamo estremamente contrario alla pubblica rivelazione dell’amore tra Archie e Rock, rivelando di ricevere un aiuto psicologico e di aver incontrato qualcuno con cui instaurare, finalmente, una relazione sentimentale sana: un profondo cambiamento interiore che lo porta a voler produrre un nuovo film, la prima storia d’amore omosessuale della storia del cinema. In realtà, abbandonato dai suoi clienti e dall’industria del cinema in generale, finì in bancarotta e sviluppò una forte dipendenza da alcool e droghe, logorato dall’ansia, dalla paranoia e da problemi di peso. Morì nel 1978 di cirrosi epatica, solo e senza neanche il denaro necessario a un funerale.
Nello show, Ernie West, interpretato da Dylan McDermott, rappresenta lo sconfitto. L’affascinante pappone voleva diventare una star ma non ha avuto abbastanza fortuna e così ha aperto un’attività molto particolare per poter vivere nella città degli angeli. A Dreamland si può fare benzina ma si può anche andare a letto con uno degli avvenenti ragazzi a disposizione. Il personaggio è ispirato a Scotty Bowers, un ex marine che, dopo la guerra, diventò uno dei toyboy più amati dalle grandi dive. Bowers, come nella serie, lavorava alla Richfield Oil gas station, all’incrocio fra Hollywood Boulevard e Van Ness Avenue, e da lì riusciva anche a organizzare serate piccanti con famose star di Hollywood, che spesso si trasformavano in autentiche orge. Gli incontri sono raccontati nella sua biografia/confessione Full Service: My Adventures in Hollywood and the Secret Sex Lives of the Stars, edita nel 2012 e poi “filmata” nel documentario Scotty and the Secret History of Hollywood del 2017. Si pensi ai famigerati party a bordo piscina del regista George Cukor e alle relazioni – nei suoi 39 anni di carriera da gigolò – con Cary Grant, Katherine Hepburn, Spencer Tracy, Tyrone Power, Walter Pidgeon e molti altri. Il ruolo interpretato da Ernie nel film Meg è quello di Darryl B. Selzman, a sua volto ispirato ai personaggi di Darryl Zanuck (dirigente di 20th Century Fox) e di Louis B. Mayer (capo di MGM). Inoltre, c’è il riferimento al controverso produttore David O. Selznick, nipote di Mayer.
Il regista George Cukor ha il volto di Daniel London. Dopo essere entrato in conflitto con il produttore David O. Selznick, fu sostituito alla regia di Via con vento da Victor Fleming, inviso alla Leigh e a Olivia de Havilland, che continuarono a rivolgersi a Cukor per avere consigli su come sviluppare i proprio personaggi. Celebri i suoi party, pieni di star della Hollywood del tempo, che per alcuni continuavano a porte chiuse, in un ambiente “protetto” dove chiunque poteva esprimete liberamente la propria sessualità (e dove mercenari del sesso e droghe pare fossero una presenza fissa).
C’è poi il riferimento a Jeanne Crandall, protagonista nel film biografico su Elizabeth Lee Miller, celebre modella, fotografa e ritrattista americana, corrispondente sul campo per la rivista Vogue durante la Seconda Guerra Mondiale, accusata di essere una spia dell’Unione Sovietica. La sua straordinaria vita dovrebbe essere raccontata in un film, attualmente in produzione per eOne, con protagonista Kate Winslet e basato sull’unica autobiografia autorizzata dal titolo “The Lives of Lee Miller”. Interpretata da Paget Brewster, non manca neppure Talulah Bankhead, provata da droga, alcool e depressione, conosciuta anche per le sue frequenti storie con personalità del cinema, sia uomini che donne (fra cui, sembra, anche attrici come Greta Garbo). Indirettamente protagonista è anche il Codice Hays, insieme di rigide regole da osservare per la realizzazione dei film, che prese il nome dal suo promulgatore e in vigore dal 1930 al 1967: niente scene di nudo, balli particolarmente lussuriosi, droghe varie e scene di omicidio particolarmente esplicite. O più semplicemente un rapporto sentimentale tra razze diverse. Oggi è il sistema MPAA a consigliare o vietare il film a una determinata fascia di pubblico.
E non mancano numerosi riferimenti a Paul Mini, Hedy Lamarr, Alan Ladd, Donna Reed, Crosby, Joan Fontaine, Cecil B. DeMille, Sidney Lanfield, Irving Thalberg, Barbara Stanwyck, Charles Atlas, Howard Hughes, Errol Flynn, Gene Tierney, William Holden, Humpherey Bogart, Esther Williams, Gloria Swanson, Noël Coward (commediografo, attore, regista, produttore e compositore britannico, amante del principe Giorgio di Kent, quarto figlio di Giorgio V). O ancora a William Powell, Lana Turner, Judy Garland (tutti sotto contratto per MGM), a Robert Montgomery (plurinominato e presidente Screen Actors Guild), Rosalind Russell (4 volte nominata all’Oscar e vincitrice di ben 5 Golden Globe) o ai film Codice d’onore (1948) di John Farrow e Il valzer dell’imperatore (1948) di Billy Wilder. Gli altri protagonisti di Hollywood sono personaggi immaginari, ma ispirati, chi più chi meno, a persone reali. Avis Amberg, la moglie dell’uomo a capo degli Studios, è un amalgama fra Irene Selznick e Sherry Lansing. Gli stessi Ace Studios sono stati creati “fondendo” la Metro-Goldwyn-Mayer e la Universal Pictures.
Portando in scena talvolta la realtà alternativa della “faction”, in un mondo reale chiuso alle minoranze, prendono corpo straordinarie rivoluzioni sociali e storie di riscatto di categorie emarginate, in continua lotta per emergere. E la Golden Age di Hollywood rappresenta davvero la possibilità di svolta per le centinaia di ragazzi che facevano la fila fuori dagli studios per un ruolo da comparsa a 10 dollari al giorno. Un mondo dorato fatto di sogni e speranze che non si vincola soltanto alla storia ma che, con qualche licenza, restaura in chiave positiva le storture del passato.