Era il 1970 quando uscì Tea for the Tillerman di Cat Stevens. Si presentò in punta di piedi. Interamente acustico, pervaso di una gentilezza fatata e di un senso di serenità, sottolineata dalla voce ben scandita e carezzevole, potente e squillante al punto giusto, dell’autore, un anglo-greco, registrato all’anagrafe di Londra con il nome di Steven Demetre Georgiou, che aveva scelto lo pseudonimo di Cat Stevens.
Anche il suo cammino fu in punta di piedi. L’album si piazzò al numero 20 in Gran Bretagna, ma qualche mese dopo conquistò l’America, spingendosi fino al numero 8 e rimanendo in classifica un anno e mezzo. Da lì in avanti, per circa un lustro, pochi artisti nel mondo avrebbero venduto quanto Cat Stevens. Il brano che cambiò l’andamento della sua carriera fu Wild World, pubblicato anche su 45 giri, ma ben presto l’intera scaletta invase le radio, generando almeno un altro brano di fama mondiale, quale Father And Son, e diversi classici minori: Hard Headed Woman, Where Do The Children Play?, Sad Lisa, Into White. Canzoni che divennero universali per i testi semplici e diretti che affrontano amori finiti, morte, problemi ecologici e conflitti generazionali, temi non assenti nel mondo del rock in quel momento, ma qui esaminati con un approccio diverso e costruttivo: non c’era la volontà di attaccare “l’altra parte”, semmai di sedersi e parlarne. A contribuire al successo dell’album anche la presenza di alcune canzoni di Tea For The Tillerman nel film di culto Harold e Maude (1971), capolavoro umoristico e sentimentale diretto dal geniale Hal Ashby.
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Cinquant’anni dopo quel disco torna. Per far rivivere ricordi ed emozioni a una generazione che ha amato le sue canzoni. «È un album importante perché celebra così tante persone», spiega l’autore oggi settantunenne. «È la loro colonna sonora e i ricordi delle persone sono così intrecciati con le note di questo album e la musica di questo album».
Cinquant’anni dopo quel disco torna. Per far incontrare quel mingherlino cantautore anglo-greco che si faceva chiamare Cat Stevens con il suo alter ego Yusuf Islam, il nome adottato in seguito alla conversione alla religione islamica avvenuta nel 1997 dopo aver rischiato di annegare nel mare di Malibù. «Anche se il mio cammino di cantautore non è limitato a Tillerman, le canzoni di quell’album mi hanno sicuramente definito ed hanno indicato la strada per il viaggio della mia vita misteriosa. Da quelle session originali ai Morgan Studios di Willesden nel 1970, Tillerman è cresciuto ed ha sviluppato la propria influenza sulla storia della musica e come colonna sonora per la vita di così tante persone. Come se il destino fosse in attesa di accadere, Tea for the Tillerman² sembra che il tempismo del suo messaggio sia arrivato di nuovo».
Yusuf Islam-Cat Stevens ha ri-registrato l’intero album con il produttore originale Paul Samwell-Smith e il chitarrista di allora Alun Davies. Intitolato Tea for the Tillerman², uscirà il 18 settembre, ma in streaming si può già ascoltare la nuova versione di Where Do the Children Play?. La copertina illustra la stessa pittoresca scena dell’album originale, cinquant’anni dopo. Tillerman è tornato da una spedizione nello spazio ed ha scoperto un mondo decisamente più oscuro. I due bambini stanno ancora suonando accanto a lui ma questa volta ascoltano in streaming la musica più recente e comunicano via FaceTime sui loro telefoni cellulari.
Il concept di Tea for the Tillerman² nasce da una conversazione tra Yusuf e suo figlio su come celebrare il cinquantesimo anniversario dell’album. Da lì l’idea di re-immaginare e ri-registrare le canzoni. La gran parte delle undici tracce del Tillerman originale furono scritte da un Cat Stevens ventiduenne immerso nella Soho della fine degli Swinging Sixties; ora vengono riproposte dopo una vita di introspezione e sono viste da una nuova prospettiva. Sono brani che ritrovano un’altra luce rispetto alle registrazioni originali, in molti casi sono più lussuriosi degli originali e alcuni prendono delle svolte sorprendenti, come la funky Longer Boats con la voce ospite del rapper Brother Ali. On the Road to Find Out diventa una sorta di blues del deserto. Wild World sembra invece quasi un valzer. Ma lo spirito originario delle canzoni rimane intatto. Miles From Nowhere resta una grande canzone spirituale, una metafora della vita: c’è sempre una montagna da scalare. E Into White è ancora oggi una bella canzone, della quale non puoi fare a meno di innamorarti. Where Do the Children Play? è di una attualità impressionante: rispecchia le preoccupazioni sul futuro dell’umanità, l’espansione urbana a discapito delle aree verdi, i disastri ecologici, la distruzione del pianeta. Suona come un avvertimento contro la pessima gestione della globalizzazione e contro la temerarietà scientifica ed economica, ancora stranamente profetica ed in sintonia con le questioni che il mondo deve affrontare quotidianamente. Un mondo in cui gli sviluppi edilizi, la contrazione dei bilanci locali e il blocco Covid-19 hanno costretto la chiusura di parchi, di centri d’accoglienza e persino di campi da gioco scolastici; ecco allora che quelle parole rimangono pertinenti, stimolanti e anche toccanti come il giorno in cui sono stati scritte. La riproposizione di Where Do The Children Play? testimonia ancora una volta la grandezza di questo profondo artista ed è uno straordinario promemoria dell’eredità e dell’influenza di un cantautore senza tempo.
«E in Father and Son dopo cinquant’anni ho cantato un duetto con me stesso, il che è incredibile», spiega il cantautore che ha trascorso la quarantena a Dubai. «La voce del figlio è stata presa da una mia registrazione nel 1970 al Troubadour di Los Angeles. E ora eccomi qui a 71 anni a cantare con me stesso quando avevo circa 22 anni. È incredibile. È la realtà virtuale».
Father and Son inizialmente era destinata a un musical. «Mi ero già scelto due ruoli, interpretando i due personaggi di questo musical che stavo scrivendo, basato sulla rivoluzione russa» ricorda Yusuf. «Doveva avere a che fare con il giovane figlio che viveva con suo padre nella fattoria e voleva unirsi alla rivoluzione, mentre suo padre voleva che restasse a casa. Questa era sostanzialmente la storia contro un’altra storia che stava succedendo allo stesso tempo, quella di Nicholas e Alexandra, lo zar della Russia. Questa è tutta un’altra storia. Comunque, era da lì che proveniva la canzone. Ma ha assunto un significato enorme per così tante persone».