C’era una meravigliosa schizofrenia nella vita artistica di Ennio Morricone morto nella notte in una clinica romana per le conseguenze di una caduta: ha composto più di 500 melodie, spesso immortali, per il cinema e la televisione, il suo tocco da arrangiatore ha caratterizzato la musica pop italiana degli anni Sessanta (tra Edoardo Vianello, Mina e tanti altri), ma la sua vera passione era la musica sinfonica, la sperimentazione e l’innovazione musicale, sulla scia di un maestro come Goffredo Petrassi e delle improvvisazioni del gruppo Nuova Consonanza cui contribuì a dare nuova linfa fin dal 1964.
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Nato a Roma il 10 novembre del 1928, figlio di trombettista e diplomato al Conservatorio di Santa Cecilia nella stessa materia e in direzione d’orchestra, Morricone siede da tempo nel ristretto Pantheon dei più grandi musicisti da cinema di sempre come confermano la stella sulla Walk of Fame di Los Angeles, l’Oscar alla carriera del 2007, la miriade di premi che scandiscono la sua carriera e perfino l’intestazione di un asteroide. La sua musica ha da sempre un impatto trasversale che contagia le più diverse generazioni e gli ha assicurato fama oltre il cinema con più di settanta milioni di dischi venduti. Il chitarrista degli U2 The Edge dichiara da sempre di considerarlo il suo musicista di riferimento, gruppi come i Metallica o i Ramones aprono i propri concerti con un omaggio a lui, Quentin Tarantino ha saccheggiato le sue melodie ben due volte (Kill Bill e Bastardi senza gloria) rendendogli pubblico omaggio fino convincerlo a firmare una colonna sonora originale per The Hateful Eight con cui il musicista ha vinto il suo primo Oscar dopo ben cinque nomination. Le sirene di Hollywood però non hanno mai conquistato Ennio Morricone, per tutta la sua vita rimasto legato alla “sua” Roma, nel cui vecchio cuore abitava insieme all’adorata moglie messinese Maria e i quattro figli: una “tana” dove sono nati i suoi capolavori e che ogni volta lasciava malvolentieri, anche quando doveva andare a dirigere un’orchestra.
Iniziò a scrivere e comporre musica per il cinema nella metà degli anni Cinquanta, mentre era arrangiatore di canzoni per la Rca Italiana. Tra le canzoni più famose che arrangiò, Pinne fucile ed occhiali e Guarda come dondolo di Edoardo Vianello, Sapore di sale di Gino Paoli e Se telefonando di Mina. Nonostante centinaia di partiture che hanno fatto epoca, è il sodalizio con Sergio Leone a fare da sigla ideale al cinema di Morricone. I due si conoscono sui banchi di scuola, alle elementari, e quando il debuttante regista si rivolge a lui nel 1964 (Per un pugno di dollari) non sa ancora che molto del suo inatteso trionfo si deve alle invenzioni del musicista, costretto a lavorare senza orchestra e con pochi soldi, capace di trasformare un fischio, una tromba, uno sparo nella più formidabile sintesi dell’epopea western. In questa spiazzante performance Morricone mette a frutto tutto il suo talento di arrangiatore che gli era valso una buona nomea nel mondo della musica leggera italiana. L’amicizia tra i due non verrà mai meno e scandirà una carriera di successi fino all’ultimo film di Leone C’era una volta in America che anche per il musicista rappresenta una delle sfide compositive più complesse e importanti.
Se nel mondo è proprio lo “spaghetti western” ad aprire a Morricone le porte di Hollywood con autori come John Carpenter, Brian De Palma, Roland Joffé, Oliver Stone e titoli come Gli intoccabili o Mission («la colonna sonora per la quale avrei meritato l’Oscar» mi confessò in una intervista), in Italia sono molti i cineasti che con lui vantano un rapporto quasi simbiotico. È il caso di Elio Petri per cui Morricone inventa i suoni di Indagine su un cittadino o di Gillo Pontecorvo che scrive con lui la partitura della Battaglia di Algeri, ispirandogli Queimada, infine Giuseppe Tornatore col quale il maestro collabora sin da Nuovo Cinema Paradiso. «Con Peppuccio (Tornatore, nda) il mio legame forse è più forte che con Sergio (Leone, nda)» sottolineava il Maestro in una intervista alla vigilia di un concerto al Teatro antico di Taormina. «Ho fatto più film con Tornatore che con Leone. È una collaborazione più lunga e anche la positività è più forte».
Che cos’è il genio di Morricone? In primo luogo, una perfetta conoscenza dei classici che lo accompagnava in scorribande stilistiche di grande suggestione e gli permetteva di usare la grande orchestra, il piccolo gruppo, i solisti e i cori con la massima naturalezza; poi una sintonia quasi fisica con l’emozione e l’epica; infine una abitudine all’arrangiamento dei motivi che gli consentiva di andare di pari passo con le idee visive dei registi senza mai deviare dal proprio percorso espressivo. «Ogni volta cerco di realizzare una colonna sonora che piaccia sia al regista, sia al pubblico, ma soprattutto deve piacere anche a me, perché altrimenti non sono contento. Io devo essere contento prima del regista. Non posso tradire la mia musica», spiegava. È una fedeltà monogama che non lo lasciava mai e che ogni volta lo conduceva a sfide più impervie, come ha spesso dimostrato nella maturità quando ha cominciato ad esibirsi in pubblico come direttore d’orchestra delle sue composizioni.
E con la bacchetta in mano, davanti alla sua orchestra, Morricone rivelava ogni volta la sua duttilità da camaleonte: compositore contemporaneo, creatore di epopee per il più vasto pubblico, nostalgico cantore di emozioni segrete. Non è un caso che, nel 2007, sul palco dell’Oscar sia stato Clint Eastwood a consegnargli l’ambita statuetta: Eastwood non sarebbe esistito senza Leone e Morricone. E il musicista aveva trovato nell’attore il primo simbolo della sua musica amata in tutto il mondo. Una musica immortale che continuerà a risuonare nei film e nelle musiche dei tanti artisti che sono stati influenzati dal suo grande genio.