Si fa presto a dire riapertura. Anche per i musei il lockdown ha lasciato dietro di sé una scia di costi e ricavi mancati, mentre la ripresa delle attività a ritmi e volumi pre-coronavirus sembra ancora lontana. Dopo il periodo di isolamento forzato e l’ottimo uso dei social e delle piattaforme digitali, ora la sfida per i musei italiani è saper coniugare l’esperienza online acquisita negli ultimi mesi con una nuova fruizione dal vivo, alla luce del distanziamento sociale e delle nuove regole post-Covid.
«Nei mesi più severi del confinamento anche i Musei Reali hanno sperimentato su una scala mai vista prima il lavoro agile e gli strumenti digitali costruendo, paradossalmente, nella distanza, una nuova solidarietà con il pubblico. Ma questi espedienti virtuali non possono farci dimenticare lo spaesamento di un museo silenzioso con le sale deserte. Ma un museo senza visitatori non vive. E adesso è arrivato il tempo che la cultura torni ad occupare i propri spazi. Anche se la risalita sarà difficile: nel 2019 in questo stesso periodo dell’anno avevamo una media giornaliera di 700 turisti, scesa oggi a 100. Un calo che considerando la chiusura di marzo, aprile e maggio che farà segnare un anno nero per la cultura italiana». Con la direttrice dei Musei Reali di Torino, Enrica Pagella, abbiamo tracciato un primo bilancio ad un mese dalla riapertura di Palazzo reale, dell’Armeria Reale, della Galleria Sabauda, del Museo di Antichità, della Biblioteca reale e dei Giardini Reali.
Com’è cambiata l’esperienza di visita ai Musei Reali nell’era post-lockdown?
«Il coronavirus ha rappresentato una brutale presa d’atto, spingendoci a ripensare l’esperienza di visita. Personalmente penso che la visita al Museo sia fatta anche di incontri, vedo il Museo più simile ad una piazza che ad un tempio sacro, e che sono le persone stesse con i loro commenti e le loro attenzioni a determinare l’anima del luogo. Le sale del Museo, il Palazzo, il Giardino che in questi anni ci siamo abituati a percepire come un luoghi di scambio e di condivisione, adesso diventano spazi vuoti e silenziosi che offrono però un modo nuovo di vivere il Museo. Non avere la folla durante la visita vuol dire poter spendere il proprio tempo con maggiore tranquillità nelle sale, soffermarsi sulle collezioni, apprezzare ogni singolo oggetto».
Nel concreto, come si svolgono le “nuove” visite al Museo?
«Nel rispetto delle linee guida post-emergenza, i Musei Reali hanno messo a punto, con l’aiuto di esperti e di concerto con le organizzazioni sindacali, un piano approfondito di percorsi, di dispositivi e di segnaletica per garantire al pubblico e ai lavoratori il massimo grado di tutela. Gli accessi sono contingentati per evitare assembramenti e all’ingresso viene rilevata la temperatura tramite termo-scanner. È obbligatorio l’uso delle mascherine, e si favorisce la sanificazione delle mani con gel disinfettante, dislocato lungo il percorso di visita. Rispettando la distanza interpersonale di almeno due metri, le sale saranno percorribili seguendo un itinerario monodirezionale di ingresso e uscita, indicato dall’apposita segnaletica».
Si può fare un bilancio di questo primo mese dalla riapertura in termini di visite?
«Sì, e non è positivo. I numeri sono crollati. Già le previsioni che c’erano prima della riapertura parlavano per il 2020 di un calo di 1/5 dei visitatori abituali nei musei europei. E la pandemia di coronavirus non ha fatto altro che aggravare la situazione. Se facciamo un paragone con il 2019, nello stesso periodo dell’anno i Musei Reali facevano 700 visite al giorno, mentre adesso la media giornaliera si attesta sui 100-120 visitatori al massimo. Praticamente sono assenti i turisti internazionali. E per una città come Torino, che non è propriamente una meta turistica, la risalita sarà difficile e richiederà parecchio tempo».
Durante il periodo di lockdown il mondo dell’arte si è aperto al digitale. I Musei Reali come come hanno affrontato la sfida tecnologica?
«Nei mesi più severi del confinamento anche i musei hanno sperimentato su una scala mai vista prima il lavoro agile, scoprendo opportunità insospettate, potenziando gli strumenti digitali e costruendo, paradossalmente, nella distanza, una nuova solidarietà, con il pubblico. Il processo verso l’approdo digitale era già in atto nei musei italiani, ma la pandemia ha accelerato i tempi. Nel nostro caso, pochi giorni prima del lockdown, il 3 marzo, siamo riusciti a mettere online sul nostro sito il catalogo delle opere. Poi durante il periodo di chiusura, complice anche lo smart working e la capacità di concentrarsi senza tutte le incombenze di un ufficio aperto al pubblico, siamo riusciti a sviluppare una strategia digitale, innanzitutto sulle nostre piattaforme social, incrementandola con delle possibilità interattive come i laboratori per le famiglie, giochi per i bambini, visite narrate e laboratori didattici per le scuole. Per quanto riguarda i contenuti, abbiamo realizzato, individuando nuove competenze all’interno del nostro staff, il progetto “Closed In”, una serie di filmati che raccontano tutto quello che in un Museo sta chiuso dentro ad esempio i servizi di tazzine chiuse negli armadi, l’interno dei mobili che si vedono solo da fuori, i laboratori di restauro che normalmente non sono accessibili. L’idea è quella di far conoscere al pubblico tutto quello che non si vede quando il Museo è aperto. Dopo queste esperienze autogestite del periodo di confinamento, siamo passati a una proposta più strutturata con il progetto “èreale”, la nuova piattaforma per la fruizione di contenuti video prodotti dai Musei Reali, disponibile all’indirizzo ereale.beniculturali.it».
Come si coniugano reale e virtuale durante la visita?
«La nuova piattaforma “èreale” consente di esplorare e approfondire le meraviglie dei Musei Reali anche da casa. Per una cultura accessibile a tutti, sempre. L’offerta così si modella ai tempi, ai bisogni e agli interessi del singolo. Ognuno può creare il proprio itinerario virtuale grazie ai tanti contenuti online. Mentre le audioguide possono fornire supporto alla visita in presenza: dal proprio smartphone è possibile ascoltare la guida in formato digitale e contemporaneamente alzare lo sguardo e ammirare le collezioni dal vivo. Il potenziamento del digitale consente un nuovo modo di vivere il Museo, di approfondire la propria conoscenza e di creare percorsi personalizzati e inaspettati».
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Quali sono le iniziative cultuali messe in campo dai Musei Reali per la ripartenza?
«Con la chiusura abbiamo dovuto interrompere tutti i programmi e fra questi anche la mostra a cui lavoravamo da oltre due anni dedicata alle antiche civiltà cipriote. Quindi tra le prime iniziative ci sarà sicuramente l’allestimento della mostra “Cipro. Crocevia delle civiltà”, con oltre seicento opere provenienti dalle collezioni dei Musei Reali e da quelle di grandi istituzioni italiane e straniere. Tra le novità, anche il restauro dell’altare della Cappella della Sindone e il recupero del Giardino Ducale nella convinzione che gli spazi verdi sarebbero stati di grande aiuto per superare l’emergenza sanitaria in quanto costituiscono una impareggiabile risorsa di benessere per la vita dei cittadini. Il lockdown ci ha permesso inoltre di fare un lavoro di studio e di valorizzazione di alcune collezioni».
Tra queste rientra anche la presentazione del volume “ Il Medagliere Reale. Storia e collezioni” del Notiziario del Portale Numismatico dello Stato.
«Sì, in occasione della riapertura dei Musei Reali è stato pubblicato e messo a disposizione on line il primo volume relativo alle collezioni numismatiche dei Musei Reali di Torino a cura di Federico Barello, Elisa Panero, Serafina Pennestrì, frutto della collaborazione dei Musei Reali con il Notiziario del Portale Numismatico dello Stato. Un lavoro che è andato di pari passo con il progetto di digitalizzazione del Medagliere Reale e del Monetiere del Museo di Antichità e rappresenta un passo importante verso la valorizzazione delle collezioni numismatiche spesso trascurate all’interno del normale percorso di visita del Museo. Queste collezioni sono un patrimonio immenso di dati storici, iconografie, di perizia artigiana, ma allo stesso tempo è un patrimonio difficile da esporre in un museo perché si tratta di oggetti minuscoli e numerosi. Quindi il digitale è l’approdo naturale per le collezioni di medaglie e monete, perché consente di ingrandire le immagini e confrontarle tra loro».
Una situazione di emergenza straordinaria come quella vissuta negli ultimi mesi potrebbe fornire l’occasione per ripensare il compito primario del Museo e dei beni culturali in Italia?
«In questo periodo di emergenza siamo più che mai persuasi del ruolo che i musei possono svolgere nei confronti della comunità, come luogo di conoscenza e di benessere, di creatività e bellezza, ma anche come memoria e simbolo di sfide che possono ispirarci in questo momento di crisi e di incertezza. La cultura ci aiuta in mille modi, anche a sopportare la malattia. La cultura non cura direttamente la malattia, ma mette l’organismo nelle condizioni di poterla affrontare meglio. La conoscenza rende più facile trovare dei percorsi di redenzione e di salvezza dell’anima e del corpo. Quindi, penso che anche il museo possa giocare un ruolo importante nella resistenza alle situazioni emergenziali».
Qual è la lezione che il mondo della cultura dovrebbe trarre da questo periodo di emergenza?
«Quello che è accaduto sicuramente ci deve far riflettere sull’opportunità straordinaria di riappropriarci di luoghi improvvisamente liberi dai grandi flussi. Dalla fruizione quantitativa il baricentro si è spostato su una esperienza del museo più qualitativa. Il museo non appare più, per fortuna, come l’attrazione su cui il turista deve mettere una tacca al suo diario di viaggio, ma come un luogo dove ritrovare se stessi e le ragioni della propria esistenza. Questa sicuramente è una eredità dell’emergenza Covid, ma è ancora presto per dire se e come questa eredità modificherà il profilo delle istituzioni museali italiane».