Lo spirito del nostro tempo è caratterizzato da un effimero culto del presente, incide in modo importante sui cambiamenti che interessano l’ambiente, il clima, la città, le periferie, la società, i modi di abitare, di lavorare e di fruire del tempo libero. L’uomo per riaffermare e manifestare la propria presenza imperante e dare prova di esserci, a partire dai “mi piace” sui social, conduce una frenetica attività secondo la locuzione latina tratta dalle Odi del poeta latino Orazio, carpe diem, tradotta in “cogli l’attimo” senza valutarne le conseguenze.
L’attimo ha confinato il pensiero, la riflessione, il silenzio come roba d’altri tempi. Sembra un paradosso che una società nichilista come la nostra abbia il timore di non apparire, abbia il timore del nulla, poiché è opinione diffusa che se non appare praticamente non esiste. Dunque non potrà esserci un futuro attendibile sia sotto il profilo sociale ed economico se non recuperi tutti gli aspetti culturali che hanno contraddistinto la storia e il pensiero dell’umanità, indispensabile per riappropriarsi della storia e della propria identità. La cultura insieme alla bellezza, al decoro e all’armonia, rivelano l’uomo all’uomo e sono generatrice di bene comune e di benessere.
Il mondo globale se da un canto rende vicino quel che e͛ lontano, allontana i vicini tanto da rivoltare i vecchi modi del vivere insieme. Lo spirito del nostro tempo ha generato e fatto crescere inoltre i conflitti relazionali, generazionali, sociali, tra piccole e grandi comunità generando intolleranze insostenibili che potrebbero sfociare da un giorno all’altro in manifestazioni di massa rivoluzionarie e con gravi danni alle medesime comunità; alcuni disaffezioni e rabbia peraltro si sono manifestati in Francia con i gilet gialli. La città in quanto contenitore di risorse umane, di storia, di memoria, monumenti risente di tali crisi al punto che assistiamo alla dissoluzione di ogni legame e alla decomposizione dei luoghi e del tempo della città.
La cultura, la bellezza, il decoro e l’armonia, sono elementi fondamentali che concorrono alla formazione dell’individuo sul piano intellettuale e morale e all’acquisizione della consapevolezza del ruolo che gli compete nella società e nella città. La città deve essere generatrice di bellezza, armonia e decoro. Si tratta di riappropriarsi della consapevolezza di poter costruire una speranza condivisa per la rinascita di un nuovo umanesimo, in grado di restituire alla collettività un luogo migliore dentro il quale possano svilupparsi in pienezza le relazioni umane.
Nel mondo globalizzato le città diventano sempre di più, nel bene e nel male, il luogo dove si gioca il destino delle persone. Più della metà della popolazione mondiale vive al loro interno. A questa crescita quantitativa si accompagna una serie di trasformazioni che fa di esse lo specchio della ricchezza umana, ma anche delle contraddizioni e delle tensioni che caratterizzano le nostre società nel tempo del multiculturalismo, della crisi delle classi medie e dell’estremizzarsi delle disuguaglianze sociali, delle accelerazioni tecnologiche e della corrispondente crisi dell’ambiente naturale.
Emblematiche di questa problematicità sono da un lato la perdita del centro e di quei punti di riferimento valoriali di una cultura europea che ha profonde radici cristiane, architettonici, sociologici, commerciali che davano ad una città il suo inconfondibile volto, dall’altro il degrado delle periferie, un tempo caratterizzate dalla presenza di un ceto operaio sempre più consapevole del proprio ruolo, oggi, con l’avvento dell’epoca post-industriale, ridotte in larga misura a ghetti di stranieri emarginati o di ceti sociali impoveriti.
La globalizzazione ha comportato per certi versi una progressiva omologazione dovuta sia al diffondersi planetario di catene di negozi, soprattutto di lusso – da Bulgari a Prada a Vuitton –, sia all’imporsi di giganteschi centri commerciali che polarizzano ormai non solo gli acquisti, ma anche il tempo libero del cittadino medio, sia alla gara sfrenata di paesi ricchi a realizzare manufatti edilizi autoreferenziali da parte degli architetti di fama mondiale.
La città è spogliata della sua identità, radicata in antiche tradizioni ricche di umanità, e si ritrova appiattita su logiche dettate dal mercato, o nella sua attraente versione consumistica, o in quella, drammatica, per cui esso condanna all’esclusione sociale ed economica fasce significative della popolazione. E in entrambi i casi non è più una città a misura degli uomini e delle donne che vi abitano, perché sostituisce un’arida meccanica funzionalista ai valori della bellezza e della relazionalità, creando ambienti anonimi e trasformando gli spazi dove dovrebbe avvenire l’incontro tra le persone in quelli che Marc Augè ha chiamato «non-luoghi».
La città non è soltanto un luogo fisico, ma rappresenta storicamente il luogo in cui ogni cittadino può identificarsi, relazionarsi e fruire di servizi e spazi a dimensione umana, ed è direttamente percepita in modo fisico e dai sensi (Lumen Fidei 50-54-55). «[…] La fede illumina anche i rapporti tra gli uomini, perché nasce dall’amore e segue la dinamica dell’amore di Dio. Il Dio affidabile dona agli uomini una città affidabile (50). […] Nella “modernità” si è cercato di costruire la fraternità universale tra gli uomini, fondandosi sulla loro uguaglianza. A poco a poco, però, abbiamo compreso che questa fraternità, privata del riferimento a un Padre comune quale suo fondamento ultimo, non riesce a sussistere (54). […] Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremmo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata (55)».
È una realtà che ci coinvolge inserendoci in una fitta rete di flussi, in una trama di relazioni che influisce sulla nostra esistenza, contribuendo alla nostra quotidiana ricerca di identità.