Sanremo si fa. Perché si doveva fare. “Whatever it takes”. Ad ogni costo. Perché con la gente costretta a non uscire di casa a causa del coprifuoco, questa edizione “70 + 1” potrebbe battere i record d’ascolto di tutti i tempi. Perché porterà alle casse Rai 41 milioni di introiti pubblicitari (dopo il ritocco del 9% sul costo degli spot sulla scia dell’aumento degli ascolti tv legati al lockdown). Perché anche blindato, con la mascherina, senza pubblico né figuranti, con il distanziamento, sarà pur sempre un Festival.
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Ma non sarà quel Festival di Sanremo che tutti conosciamo. Perché Sanremo non è Sanremo per i cantanti, per le vallette o per i presentatori. O, comunque, non solo loro. Ma per tutto quello che gira attorno e che quest’anno non ci sarà. A cominciare dalle signore d’altri tempi, impellicciate e imbellettate, che giungono sin dalla Sicilia pagando centinaia di euro pur di poggiare il proprio sedere per quattro ore su una scomoda poltrona del mitico Teatro Ariston. Perché, in una città dei fiori blindata e zona rossa, non ci saranno i curiosi e i fan che si ammassano alle transenne per vedere qualche idolo della tv calpestare il tappeto rosso che conduce al Tempio dell’Ariston. Perché mancherà quel popolo di artisti di strada, saltimbanchi, giocolieri, sosia, predicatori, contestatori che ogni anno invade le strade e le piazze del centro ligure. Perché non ci sarà lo sciamare di persone nella piazzetta dove si aprono bar, locali e ristoranti frequentati nel dopoteatro dai protagonisti del Festival. Perché quei bar, quei locali, quei ristoranti, a causa del coprifuoco, dopo le ore 18 chiuderanno e non potranno riempirsi di voci, rumori, artisti, fotografi, telecamere, giornalisti e fan che aspettano all’esterno nella speranza di strappare un selfie, un autografo. Non ci saranno le frotte di centinaia di giornalisti (ridotti a qualche decina) a brulicare nelle strade mostrando orgogliosi il pass penzolante sulla pancia. No, Sanremo non sarà quel Sanremo che per una settimana diventa l’ombelico del mondo dove sono passati rockstar, divi del cinema, comici e politici, quando ancora il distinguo tra le due categorie era ben definito, cortei di protesta di operai, disoccupati che minacciavano il suicidio, premi Nobel.
Doveva essere il Festival della ripartenza, della rinascita, come lo avevano ribattezzato imprudentemente e in modo arrogante Amadeus e la Rai, immaginandosi un’edizione al di sopra della pandemia e delle regole. Sarà invece il Festival del Covid quello al quale assisteremo dal 2 al 6 marzo, date confermate in seguito del parere favorevole arrivato da Comitato tecnico scientifico.
Il Comitato ha accolto il protocollo sanitario presentato dalla Rai che vieta baci, abbracci e cori ravvicinati. Tamponi ogni 72 ore, tutti a distanza di 2 metri, con l’eccezione di componenti della stessa band che potranno avvicinarsi fino a un metro e mezzo e dei fotografi in galleria che potranno essere a un metro uno dall’altro. La giuria demoscopica voterà da casa con apposita app. Nelle 75 pagine che compongono il protocollo c’è poi la conferma del Festival “sesquipedale”, ovvero esageratamente lungo: anche quest’anno Amadeus ingloberà di fatto l’orario un tempo destinato al Dopofestival, con un orario di chiusura nelle cinque sere intorno alle 2 di notte (“inizio 20.40 circa”, “durata di 300 minuti circa”): altro atto di arroganza e spacconeria da parte di Amadeus e della Rai.
E ancora: i cantanti dovranno arrivare in teatro già vestiti ed è stato chiesto che prima di salire sul palco, dopo il trucco, possano indossare mascherine chirurgiche e non FFP2 per non rovinare il trucco. Nel sottopalco ci sarà una Green Room che potrà ospitare massimo 25 persone, poi una Red Room e poi l’ingresso sul palco, dove si potrà non usare la mascherina ma la distanza interpersonale dovrà essere di 1,5 metri tra conduttore e artisti e di 2 metri con tutto le altre persone. A fine esibizione, avranno una nuova mascherina chirurgica e andranno nella Blu room per l’intervista radiofonica. Il premio verrà consegnato su un carrello per evitare che ci possano essere contatti. Ovviamente, prima della proclamazione, tutti i premi saranno igienizzati. Lo stesso avverrà per la consegna dei celebri fiori di Sanremo. In pratica, il Teatro Ariston si trasforma, per il periodo del Festival, «in un Centro di Produzione Televisivo della Rai distaccato a Sanremo».
Se questo è un Festival…