Doveva essere il Festival del sorriso. Doveva regalarci cinque giorni di svago e allegria, con i cantanti al posto dei virologi. È invece il Festival dell’angoscia. Che trasmettono le sedie vuote dell’Ariston, alle quali nemmeno il miglior Fiorello sarebbe riuscito a far alzare i braccioli. La stessa angoscia che si legge negli occhi e nel sudore dello showman siciliano orfano del pubblico, feedback essenziale per presentatori, comici e cantanti. Va alla ricerca disperata di una spalla, ruolo che sia Amadeus, beato e piagnone tra i balocchi, sia il maestro De Amicis, vittima predestinata, non sono capaci di ricoprire. Si muove nel vuoto di un teatro, che non è soltanto di spettatori, ma soprattutto di idee.
L’idea. Ecco cosa manca a questo Festival dell’era Covid senza pubblico in sala. Con poca preveggenza e molta superficialità, si è costruito uno spettacolo che in piena pandemia metteva in conto il pubblico e quando sono stati vietati anche i figuranti pagati è mancato il “piano b”. Se l’Eurovision Song Contest aveva preparato tre soluzioni per la prossima edizione, scegliendo alla fine quella intermedia, Sanremo aveva soltanto una opzione. Che, adesso, mostra tutte le sue falle.
L’opera lirica, sorprendentemente, si è rivelata più moderna nell’affrontare l’emergenza pandemia che costringe i teatri a restare chiusi. Lo scorso dicembre, al Teatro dell’Opera di Roma, il regista Mario Martone ha messo in scena per la Rai Il barbiere di Siviglia fra poltrone e palchetti vuoti, utilizzando tutta la struttura come scenografia. Trasmesso in diretta tv, gli ascolti hanno premiato l’idea.
Ecco l’idea. Quella che non ha il direttore artistico di Sanremo, Amadeus. Qualcuno chiederà: “Perché ne ha avuto mai una?”. E avrebbe anche ragione. Eppure, questa edizione del Festival in tempi di Covid poteva essere una occasione per cercare davvero di rinnovare la rassegna canora, e non solo nella selezione delle canzoni, ma dandole uno svolgimento più moderno e più snello. Come ha fatto Martone, si poteva utilizzare tutto l’Ariston come palcoscenico, accompagnare ogni canzone con creazioni video o coreografie, sullo stile del live streaming che hanno proposto Billie Eilish e, più in piccolo, i Negramaro. Piuttosto che cercare di imitare Maria De Filippi con il pubblico pagato o riesumare il Gran Varietà, si poteva guardare a X-Factor, con una giuria di qualità, mantenendo il televoto.
Invece no. Si è rimasti appiattiti sulla tradizione: le vallette, gli ospiti, le battute del comico, gli sketch, le canzoni, l’amarcord. Il solito copione kolossal: una complessa e pesante maratona tv infarcita di spot per assicurare 37 milioni nelle casse Rai.
Riflette la voglia di normalità, si giustifica Amadeus. O la vanità e la mancanza di idee del conduttore? Piuttosto è lo specchio di una Rai, servizio pubblico, che non ha il coraggio di rischiare. Una Rai che al gradimento antepone i dati dell’Auditel espressione delle scelte di un pubblico anziano che non va oltre il tasto 9 del telecomando, che vota talent piuttosto che “indie”, e che magari la sera si addormenta davanti al televisore acceso. E il calo di sei punti di share negli ascolti, con una platea televisiva più folta rispetto allo scorso anno per via del coprifuoco, suona come un campanello di allarme.