La recrudescenza della pandemia aveva fatto crollare la costruzione del Festival della ripartenza, della rinascita, come lo avevano battezzato imprudentemente e in modo arrogante Amadeus e la Rai, immaginandosi un’edizione al di sopra della pandemia e delle regole. Adesso delusione e rabbia cominciano a prendere il sopravvento sulla speranza del direttore artistico di portare un po’ di svago nelle case. Anche perché quegli italiani che l’hanno scorso lo avevano premiato adesso sembrano avergli sbattuto la porta in faccia.
Con l’Italia costretta a stare a casa o, comunque, a rientrare entro le 22 fra le pareti domestiche per non incappare nel coprifuoco, doveva essere infatti il Sanremo dei record d’ascolto. Invece… Invece, a dispetto di ogni aspettativa, si registra un sensibile, preoccupante, calo. Di cinque punti di share la prima serata, dal 51,2% dello scorso anno al 46,4%, altrettanti mercoledì. E fanno dieci.
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Il direttore di Rai1, Stefano Coletta, nega. «Improponibile un raffronto con il 2020 quando il Festival si tenne agli inizi di febbraio». Bluffa sui numeri come un abile giocatore di poker. Glissa, spostando l’attenzione: «Quest’anno c’era il calcio a farci concorrenza, non accadeva dal 2014». Ma non convince. D’altronde nella sua direzione della rete ammiraglia della tv di Stato non fa altro che raccogliere flop d’ascolti.
Swiffer Amadeus, sul quale ogni polemica scivola via, respinge tutte le critiche. «Arrogante, capriccioso? Macché». Da direttore artistico ha dimostrato tutti i suoi limiti, ma resta convinto della giustezza delle sue scelte. «Il Festival s’aveva da fare per portare un po’ di svago nelle case degli italiani. La gente mi ferma per strada e mi ringrazia». Come l’ex premier Giuseppe Conte. Né Amadeus ritiene che la costruzione narrativa sia confusionaria, improvvisata e, soprattutto, priva di idee. In ogni caso «pensavo che avremmo avuto ascolti più penalizzanti perché eravamo in modalità emergenza. Dieci milioni di telespettatori sono una gioia per me: è un miracolo con un Paese che è come in guerra», dice con il sorriso di beato tra i balocchi. Aggiungendo: «Certo, se non avessimo il teatro vuoto, ma con quei 400/500 medici e infermieri a far da pubblico, forse sarebbe stato diverso».
Più probabilmente, però, i motivi della flessione bisogna cercarli altrove piuttosto che negli errori del direttore artistico e dell’avida Rai, che ha badato ai protocolli di sicurezza più che allo show per poter andare in onda a tutti i costi e incassare gli spot. Ad esempio, chi l’ha detto che in un Paese terrorizzato dal virus e dalle nuove varianti, afflitto dall’impossibilità di vivere normalmente, infuriato per la crisi economica, ci fosse questa voglia di divertirsi? Davvero c’era qualcuno che pensava che gli italiani volessero far festa? Amadeus torna ad apparire come Maria Antonietta che voleva distribuire brioche al popolo affamato.
Non solo. Impauriti dalla pandemia, angosciati dai bollettini dei telegiornali, assillati dai virologi da talk show, in molti sono fuggiti dai canali della tv generalista per cercare rifugio nelle più rasserenanti piattaforme di streaming, che registrano un boom di abbonamenti. Né sembra un caso che i picchi di ascolto corrispondano con le apparizioni di protagonisti del Festival dell’anno scorso, ovvero Diodato e Bugo, ultimi segnali di momenti felici della vita pre-Covid.
Acceleratore di ogni processo, la pandemia ha consegnato chiavi in mano agli italiani gli sterminati cataloghi di Netflix, Amazon Prime Time, Disney plus, diventati da quest’anno i principali inserzionisti di Sanremo accanto ai settori più tradizionali come quello automobilistico e alimentare.
Un pubblico disperso, che dopo un anno di pandemia sta imparando a gestire in modo diverso il telecomando, scoprendo l’offerta delle piattaforme. La stessa tv di Stato, con gli ottimi risultati che sta registrando su Raiplay nell’on demand (+62%) e nello streaming (+45%) conferma la tendenza: gli spettatori, e non solo i giovanissimi, ora guardano il Festival quando vogliono, anche il giorno successivo, montando e smontando le clip per costruirsi un Sanremo su misura. Un Festival fai-da-te, che non tiene conto di scelte artistiche e rigidità della scaletta, fluido e digitale, in cui il passaparola social fornisce lo spunto da cui ripartire il giorno dopo per guardare i punti salienti della serata, quando e come si vuole.
Ecco l’altro punto. In una situazione in cui si vive reclusi in casa, costretti a evitare ristoranti, teatri e cinema, e a rispettare il distanziamento, la gente risponde alla mancanza di socializzazione reale trascorrendo il tempo libero sui social media (che stanno ampliando anche loro l’offerta con Clubhouse, Signal e Twitch). Si segue il Festival su computer o smartphone attraverso Raiplay o YouTube e si scambiano in contemporanea giudizi e commenti sui social. Sono gli effetti di un anno di pandemia.