Doveva semplicemente affiancare per una sera Amadeus nella conduzione del Festival di Sanremo 2021, dove già due volte era stata come concorrente. Invece Elodie è diventata la primadonna della serata, strappando la scena a Laura Pausini, fresca vincitrice del Golden Globe. Prima ha ammaliato e sedotto con la sua bellezza mozzafiato da top model. Tacchi a spillo vertiginosi, gonna con spacco inguinale e schiena nuda, è scesa con passo felino sulle scale dell’Ariston.
Ha emozionato e stupito con una esibizione da Superbowl, quando in stile Jennifer Lopez, con tanto di corpo di ballo, ha shakerato in un sensuale cocktail alcuni suoi pezzi, da Guaranà a Nero Bali, passando per Andromeda e una speciale cover di Soldi dell’amico Mahmood remixata con Crazy in love di Beyoncé, con spruzzate di Vogue di Madonna, La luna bussò di Loredana Bertè, Rumore, Fotoromanza, Margarita ed Easy Lady. Ha sorpreso duettando con Fiorello nel ruolo della Mietta “trottolino amoroso” di Vattene amore. E poi ha commosso, con un monologo molto intimo che è partito da quando non molto tempo fa nelle strade di Quartaccio, borgata di Roma, c’era una ragazzina con troppa libertà e grandi sogni. «Un quartiere popolare, una realtà onesta, crudele, ma anche straordinaria, dove ci sono persone giustamente demoralizzate e arrabbiate». Ed Elodie Di Patrizi – padre italiano (artista di strada) e madre francese creola (ex modella e cubista), originaria della Guadalupa – era una di quelle.
Comincia così il racconto di Elodie davanti alle telecamere del Festival. Intimorita, «perché mi sono sempre spaventata a parlare in pubblico», premette. «Non mi ha mai messa molto a mio agio, però poi ho riflettuto sul fatto che tutte le volte che sono riuscita ad abbattere un muro sono successe delle cose molto belle nella mia vita. Allora ho deciso di darmi una possibilità».
Parla Elodie, si confessa. Per cinque, intensi, minuti densi di pathos e di umanità. E, in ogni parola c’è un carico di verità raro. Niente retorica, nessun dolore. Solo una finestra spalancata su un mondo che ti fa guardare a lei come a una specie di miracolo. «Il mio quartiere mi ha dato tanto e mi ha tolto tanto e non parlo solo delle privazioni materiali, come non avere l’acqua calda, non arrivare a fine mese o non riuscire a pagare le bollette. Ma parlo anche della forza di sognare del coraggio di sognare. Io ho sempre voluto fare questo mestiere sin da bambina, però mi sembrava un sogno troppo grande rispetto a una bambina così piccola come me. Non mi sentivo all’altezza. Non mi piaceva la mia voce. E soprattutto mi accorsi che non avevo gli strumenti».
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Una infanzia difficile. Problemi anche in famiglia. «I miei si sono separati quando avevo 8 anni, ma anche prima non erano molto felici, a casa non c’era una bella arietta», aggiunge fuori dai microfoni. «Mia mamma faceva la cubista, era una ragazza con problemi, mi ha avuta a 21 anni. Entrambi hanno sofferto molto ed erano onesti in questo, non hanno mai camuffato il loro malessere. Ma per me che ero una ragazzina e li vedevo così erano dei folli».
Una situazione complicata. Un ambiente difficile. «Potrei fare un film dai miei 8 anni ai 23, con tutti i personaggi della mia vita», sorride la cantante oggi trentenne. «Anche solo sul pianerottolo c’erano spacciatori, gente sessualmente promiscua, alcolizzati, la mia famiglia che non era quella del Mulino bianco. Ma tutto il quartiere aveva volti parecchio coloriti: osservandoli è come se avessi studiato, ho amato tante di quelle persone. Mi hanno dato la possibilità di vedere le vita con serenità: tutte le cose si risolvono e anche quando soffri è una fortuna, perché stai vivendo».
In questo scenario si campava alla giornata. «Ti senti sporco, questa è la verità. È un contesto che rischia di inghiottirti. Non studiavo, a nessuno gliene frega niente, ma chi ti chiede i voti della pagella? Nessuno ti diceva niente. Bevevo, uscivo e tornavo alle 7 del mattino, a 15 anni: ho avuto una libertà totale. E se hai troppa libertà sbagli. Io ho la terza media e per dirlo ci ho messo anni: mi vergognavo come una ladra».
Adesso ha metabolizzato il disagio. Ha trovato il coraggio di mettersi a nudo in pubblico. Esponendosi alla curiosità e alla morbosità, confessandosi davanti a milioni di telespettatori: «Tante volte non mi sono data una possibilità. Non ho finito il liceo, non ho preso il diploma, non ho preso la patente, non ho studiato canto… Ho sbagliato lo so… Però è difficile in certi contesti riuscire a focalizzarsi su quello che vuoi essere da grande veramente. Capire qual è il tuo sogno, che cosa puoi fare di te… Il mio fidanzato (il rapper Marracash, nda), in un suo pezzo, dice: “Voi ci rubate il tempo, che è l’unica cosa che abbiamo”. E lo comprendo molto bene, perché se nasci in certi contesti devi lavorare più degli altri per ottenere quello che dovresti già avere. E quindi lavori più per sopravvivere ed è difficile mettere a fuoco il tuo sogno e puntare su te stesso. Io ve lo dico molto onestamente: a 20 anni avevo deciso che per me la musica era già finita e non cantavo più da nessuna parte, neanche sotto la doccia, perché mi sembrava troppo anche quello. Quindi avevo deciso di non fare più niente».
La fuga, come unica via di salvezza. Nel Salento, con un uomo. Lì l’incontro che ti cambia la vita. «Un incontro fortunatissimo veramente», sottolinea Elodie. «Ho conosciuto un musicista, un pianista jazz, il suo nome è Mauro Tre». E, come accadde l’anno scorso, quando portò sul palco dell’Ariston Aeham Ahmad, il pianista siriano che suonava tra le bombe, l’altra sera la cantante romana ha voluto ringraziare il suo “salvatore” pugliese dandogli una finestra nella vetrina sanremese. «Tenevo a ringraziarlo in uno dei miei momenti più importanti, perché non so che cosa accadrà poi nella mia vita», lo introduce, lasciandosi scappare una lacrima. «E volevo dirgli grazie perché mi ha dato una possibilità dove non me la sono data io, perché tutti ci meritiamo un momento importante nella vita e lui mi ha fatto amare il jazz. Io, ovviamente, non mi sentivo all’altezza neanche del jazz, perché era troppo elegante per me, era troppo alto, era troppo raffinato, pensavo fosse snob… E invece al jazz non interessava da dove arrivassi, perché il pregiudizio è degli esseri umani ed io sono stata la prima ad avere un pregiudizio su me stessa, sbagliando. Quindi lo ringrazio dal profondo del cuore per quello che mi ha insegnato Mauro: la vita, la musica e che non bisogna sempre sentirsi all’altezza delle cose, l’importante è farle, avere il coraggio di fare delle cose. Poi si aggiusta in corsa. Probabilmente non sono all’altezza di questo palco, non sono all’altezza dell’orchestra, non sono all’altezza di tutta questa attenzione, ma essere all’altezza non è più un mio problema, perché l’altezza è un punto di vista e non è un problema».
Infine, sbalordisce e incanta sfidando Mina con una versione di Mai così, l’unico brano in italiano che agli esordi della sua carriera aveva in scaletta, in un repertorio fatto di brani prevalentemente jazz.
Nell’Ariston vuoto è mancata la standing ovation a chiudere la serata perfetta di Elodie. Ma, vi giuro, si sono viste le poltroncine alzare i braccioli ed applaudire. Davvero.