Soltanto la lingua nazionale è l’elemento attraverso il quale si riesce a identificare un artista dall’altro all’Eurovision Song Contest 2021. E non sempre è così. L’idioma nazionale è fondamentale, ad esempio, per distinguere i Måneskin dai Blind Channel. I primi sono una band dal nome norvegese e dai suoni anglosassoni, sono italiani, vincitori dell’ultimo Festival di Sanremo, mentre i secondi sono una band finlandese dal nome e dalle sonorità inglesi e cantano anche nella lingua di Albione. Fatta eccezione per il gruppo romano e per qualche altro partecipante, l’inglese è la lingua dominante fra i 40 cantanti in gara in rappresentanza di un’Europa alquanto allargata, che abbraccia ex Paesi sovietici e Israele, arrivando sino all’Australia.
Rispetto agli anni passati, quando le specificità nazionali erano esaltate dalle esibizioni, dagli abiti, dalle presentazioni, il pop europeo si muove tutto, ma proprio tutto, all’interno di un unico superlinguaggio, omologato e simile, per il quale, ogni canzone avrebbe benissimo potuto rappresentare un’altra nazione. Ogni brano è appiattito su un codice sonoro di successo: c’è chi imita Lady Gaga, chi scimmiotta Beyoncé, chi insegue ritmi latini, chi rappa. L’identità nazionale è smarrita, offuscata da modelli d’oltre oceano o d’oltre Manica. C’è la band portoghese che imita i Rolling Stones, la cipriota e la moldava in stile Lady Gaga, l’israeliana clone di Rihanna, la maltese che approfitta della breccia aperta da Lizzio, il serbo che balla il reggaeton, il pop da college della band islandese. Ci sono perfino due Paesi – Austria e Slovenia – in gara con canzoni dal titolo identico: Amen.
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L’omologazione favorisce il fiorire di “mercenari”, cantanti pronti ad portare la propria voce sul fronte del palco in rappresentanza del Paese che offre loro la possibilità di esibirsi davanti a una platea di milioni di spettatori. La lettone Samanta Tīna è una professionista dell’Eurovision Song Contest, avendo preso parte ad otto edizioni, sei delle quali per rappresentare il suo Paese, arrivando seconda due volte (nel 2012 e nel 2013), le altre due volte (2015 e 2017) come alfiere della sua seconda casa, la Lituania. A cantare per l’Estonia sarà Uku Suviste, che nel 2018 approdò a “The Voice of Russia” per poi saltare nel campo avversario di Mosca ed entrare a far parte della squadra dell’icona ucraina dell’Eurovision Ani Lorak. È stato lanciato dal talent “Albania’s Got Talent” Gjon’s Tears, semifinalista nel 2019 a “The Voice France”: sarà il rappresentante della Svizzera.
E poi c’è la parte nuova del Vecchio Continente, gli europei di seconda, terza generazione, dove razze, culture e musiche si incrociano e si confondono. Come Senhit, pseudonimo di Senhit Zadik Zadik, cantante nata a Bologna da genitori eritrei. Per la seconda volta, dopo la sfortunata avventura nel 2011, si presenta per la Repubblica di San Marino. La sua canzone, Adrenalina, è un mix di Lady Gaga e sonorità dance e arabeggianti. In questo scenario, quando si inseguono i canoni della musica pop internazionale, è chiaro che le voci black vengano ritenute le carte vincenti, perché più adatte a ritmi e suoni provenienti dal soul, dall’hip-hop, dalla world music. È di origini congolesi la svedese Tusse, voce potente che interpreta Voices tra soul e Africa. Echi dal Continente nero anche in Birth of a new age, canzone con cui Jeangu Macrooy, olandese del Suriname, sembra voler evocare Peter Gabriel.
Pochissime le eccezioni. Barbara Pravi è fra queste. Cantautrice francese con radici serbe e iraniane presenta la canzone Voilà, forse la migliore in gara: interpreta in francese, prende ispirazione dalla chanson française e da cantanti come Jacques Brel e Edith Piaf. Oppure la tagika Manizha con Russian Woman, rap particolare che mantiene l’identità della canzone russa. O ancora Go_A con Shum, folk ucraino in versione elettro-gothic.
L’Eurovision Song Contest si svolgerà all’Ahoy Arena di Rotterdam, riaperta al pubblico per una capienza di 3.500 persone per ciascuno dei nove show in programma, che comprendono sei sessioni di prove, due semifinali previste martedì 18 e giovedì 20 maggio – trasmesse dalle 20.30 su Rai4 – e la finale di sabato 22 maggio, trasmessa in diretta su Rai1 con il commento di Gabriele Corsi e Cristiano Malgioglio. In tema di censura, tornata d’attualità in seguito alla denuncia di Fedez al Concertone del Primo Maggio, da segnalare che la Bielorussia è stata squalificata per aver proposto un brano che violava il regolamento per via dei riferimenti politici, mentre gli italiani Måneskin hanno dovuto togliere dal testo di Zitti e buoni, canzone con cui hanno vinto Sanremo 2021, la frase “toccarvi i coglioni”, sostituita con “vi conviene non fare più errori”.
L’ultima volta che l’Italia ha vinto accadde nel 1990 a Zagabria, quando ancora era una città della Jugoslavia. Fu Toto Cutugno con la canzone Insieme a iscrivere il suo nome sull’albo d’oro della manifestazione accanto a quello di Gigliola Cinquetti che, per la prima volta, fece sventolare la bandiera italiana sul pennone più alto del podio con Non ho l’età nel 1964.