«Trent’anni sono tanti e sono pochi. Sono tanti perché c’è tanto dentro e pochi perché sono volati. È una data che mi ricorda che ho passato metà della mia vita a fare questo mestiere: sulla mia carta d’identità c’è scritto musicista». Luciano Ligabue non è tipo che fa bilanci, ma da dove viene se lo ricorda bene e si ricorda di quanti nella sua Correggio lo additavano come quello che invece di lavorare canta. Il lavoro «vero» l’ha fatto nei primi trent’anni della sua vita: l’operaio, il contadino, il ragioniere, ma con la faccia tosta sufficiente per chiamare, con il numero trovato sull’elenco telefonico, Pierangelo Bertoli che gli dice di presentarsi la sera stessa e fargli sentire le sue canzoni. Il Liga ci è andato e il resto sono trent’anni di storia.
Duecento canzoni, tre film, tre raccolte di racconti, tre di poesie, un romanzo e un musical. «Trent’anni volati, andando a manetta, a testa bassa, senza fermate. Nell’era pre-Covid non mi sono mai fermato neanche per vedere dove ero. Suonare era la mia dipendenza. Poi è arrivato il virus e mi sono dovuto fermare. Mi sono guardato indietro e mi è venuta voglia di mettere un po’ di ordine in tutto quello che ho fatto. Ma forse anche per fare un po’ d’ordine in me stesso». E sono nati prima l’autobiografia Ligabue – È andata così e adesso un omonimo biopic in 7 capitoli, ciascuno composto da 3 episodi di circa 15 minuti, da martedì 12 ottobre in onda su Raiplay, la piattaforma streaming della tv di Stato che conta 20 milioni di utenti registrati.
Sette capitoli perché sette è il numero sempre presente nella vita del rocker di Correggio. Una sorta di talismano. Ciascun capitolo a rappresentare un momento della vita dell’artista emiliano. Dai sogni di rock’n’roll degli esordi al successo, dalle canzoni ai film, dal rapporto con il pubblico ai luoghi dell’anima, i parcheggi dei supermercati degli inizi come Ligabue e Ora Zero alla RCF Arena di Campovolo a Reggio Emilia dove il 4 giugno 2022 Luciano tornerà a suonare su un palco per festeggiare un compleanno rinviato da due anni con l’evento 30 anni in un (nuovo) giorno.
Un racconto che attraversa anche le pagine di storia di una Italia che spesso l’artista reggiano ha narrato nelle sue canzoni, una storia intrecciata con le testimonianze di personaggi del mondo della cultura, dello spettacolo e dello sport. Trecento minuti di immagini girate dal regista Duccio Forzano che mostreranno «le luci e le ombre di Luciano», annuncia Stefano Accorsi, amico e complice del Liga che nel film ha tre ruoli: quello del dj narratore, dell’intervistatore e del casinista: «Perché Stefano sa cazzeggiare», ride il musicista. «Serve per sdrammatizzare, per mettere un po’ di umorismo».
Le luci e le ombre. E sono tre i momenti di crisi di Ligabue, quando il rocker si è trovato sul punto di «mollare tutto perché non mi sentivo adeguato a quel tipo di successo», oppure perché «ho vissuto il mio divorzio come un profondo fallimento».
«La prima volta è stata con l’album Sopravvissuti, sopravviventi nel 1993. Dopo una partenza fulminante, quando uscì quel disco sentimmo di aver perso il pubblico» racconta Ligabue. «Un’altra volta fu una crisi personale, causata dall’incapacità di reggere gli effetti del successo. Esiste una parte oscura del successo ed io mi sentivo a disagio per questa parte oscura. È che non mi sentivo capace di maneggiare le conseguenze che arrivavano da un certo tipo di successo. Poi avvertivo che era cambiata la percezione che gli altri avevano di me: da un momento all’altro chi mi avvicinava non parlava più con me ma con l’idea che si era fatto di me. E inoltre non ero pronto ai paparazzi; al pensiero che chiunque poteva dire qualcosa su di me. L’album Miss Mondo, nel 1999, in cui affrontai questi temi, mi aiutò a superare questo momento di sbandamento. L’ultima volta è stata per Made in Italy, quando mi sono ritrovato senza voce ed ho dovuto interrompere il tour perché avevo un polipo alle corde vocali. Affrontai l’operazione con il terrore di perdere la voce o, comunque, di non avere la stessa voce che avevo prima».
In tutte e tre le occasioni, l’autore di Certe notti superò i momenti bui suonando. «È stata sempre la mia unica certezza nelle crisi», rivela. «È la mia stella polare. Non posso rinunciare a fare concerti, non posso rinunciare a vedere la gente che viene ai miei concerti: il palco è la mia droga».
Ha un progetto insieme con l’amico Stefano Accorsi che svelerà nel finale del docu-film e il 16 ottobre sarà ospite alla XVI edizione della Festa del Cinema di Roma per presentare in anteprima il videoclip ufficiale della canzone Sogni di rock’n’roll, ma soprattutto il Liga scalpita per tornare sul fronte del palco. «Fauci ha elogiato l’Italia, dicendo che è stato uno dei Paesi più virtuosi nel gestire la pandemia. Non sono in grado di dire se tutte le mosse sono state azzeccate, certo il nostro settore è stato quello più colpito. Io sto friggendo, sono in astinenza da due anni e non vedo l’ora che si possa tornare a quel tipo di normalità».
Non ha rimpianti Ligabue, «ho fatto tutto quello che volevo fare», e non ha smesso di credere in «certe forme di idealismo: che non sono mai cambiate nel tempo, a rischio di prendere tranvate». E se non fosse andata così? «Avrei cambiato molti lavori». Operaio, contadino, ragioniere…