«Notre Dame è nata qui, davanti a un piano», racconta Riccardo Cocciante scorrendo le dita sui tasti bianchi e neri mentre introduce in diretta online canzoni, personaggi e protagonisti della sua «opera popolare»: Gringoire/Matteo Setti, Fiordaliso/ Claudia D’Ottavi-Tania Tuccinardi, Clopin/ Marco Guerzoni-Leonardo Di Minno, Febo/Graziano Galatone, Frollo/Vittorio Matteucci, Quasimodo/Giò Di Tonno, Esmeralda/Lola Ponce. Interpreti della prima edizione e di quella che dal 3 marzo tornerà in scena a Milano per percorrere poi tutto lo Stivale e sbarcare dal 18 al 24 agosto al Teatro di Verdura di Palermo e dall’11 al 20 novembre al PalaCatania.
Un tour per celebrare vent’anni di successi: 1.346 repliche con più di 4 milioni di spettatori in Italia; tradotta e adattata in 9 lingue diverse (francese, inglese, italiano, spagnolo, russo, coreano, fiammingo, polacco e kazako), l’opera ha attraversato 20 Paesi in tutto il mondo con più di 5.400 spettacoli, capaci di stupire ed emozionare 13 milioni di spettatori internazionali.
Lo spettacolo dei record, in grado di crescere e di non invecchiare, sul quale nessuno nel 2002 avrebbe scommesso una lira (era l’anno in cui l’euro stava facendo il suo ingresso). «Non ci credeva nessuno all’inizio», racconta l’autore. «Avevo scritto delle arie, mi piacevano, le trovavo intriganti, ma non riuscivo a dar loro una collocazione. Poi pensai che sarebbero state perfette per commentare un dramma, le immaginavo come colonna sonora del capolavoro di Hugo. Mi misi al lavoro e scrissi tutte le canzoni, con Luc Plamondon. Ma fu allora che cominciarono i guai. Nessuno ci dava credito, era difficile trovare una produzione. Sembrava finita quando finalmente convincemmo Charles Talar ad affiancarci. Il lavoro andò in scena a Parigi e fu un successo clamoroso, mesi e mesi di tutto esaurito».
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L’Italia era, però, la tappa che Cocciante aspettava con maggiore ansia. «Volevo che tutto fosse perfetto e così ho chiamato Panella per tradurre i testi in italiano. Ha fatto un lavoro fantastico». Ma, soprattutto incontrò un sognatore come lui: il compianto David Zard, l’impresario scomparso quattro anni fa che aveva portato i più grandi tour rock in Italia. Un produttore che rese possibile un sogno impossibile, costruendo a Roma un teatro, anzi il Gran Teatro, per ospitare l’opera. «Perché in Italia non c’erano teatro adatti», continua Cocciante. «Volevamo un teatro popolare, dove tutti potessero venire, dalle nonne ai nipoti, dove la gente potesse entrare anche in jeans. David Zard ha dato un posto specifico a un’opera specifica».
Perché Notre Dame de Paris non ha raffronti: non è un musical stile Broadway e non è neanche un melodramma. «Doveva essere latino, rispecchiare le nostre radici. Il melodramma è nato qui, era una forma di teatro popolarissima. Poi l’abbiamo persa di vista, dimenticata, e gli americani se ne sono appropriati, trasformandola. Credo sia giusto impossessarcene di nuovo, è un ritorno alle nostre origini. Questo è un melodramma in versione riveduta e corretta, adeguata ai tempi», spiega Cocciante. «È un testo antico e moderno, come la musica, rinascimentale e rock. Ho cercato di non essere troppo contemporaneo: ho evitato, ad esempio, la batteria, mentre ci sono le percussioni. Anche nei vestiti, nella messinscena, nei balletti c’è questa mescolanza di antico e moderno: siamo riusciti a introdurre la breakdance accanto alla danza classica».
Universale il tema, il dramma degli ultimi, dei diversi. «Il romanzo di Victor Hugo ha un grande sfondo sociale, riflette la situazione attuale quasi come una premonizione. È la storia delle differenze umane, delle discriminazioni. Ci piaceva questa forza, questo messaggio politico. Non devono più esistere pregiudizi: e lo dice uno che per la sua statura è stato spesso bollato. Lei non può fare il cantante e il musicista, dicevano. Credo di averli smentiti».