«In piedi campeggiatori, camperisti e campanari!». Immaginatevi di svegliarvi al suono di una radiosveglia con questa frase, ogni giorno della vostra vita, in un lunghissimo e interminabile 2 febbraio. L’anello temporale che conosciamo come “Il giorno della marmotta” non è solo l’idea geniale alla base di un film di successo come Ricomincio da capo, ma è situazione che apre a pensieri, riflessioni, desideri, paure, possibilità, rielaborazioni e un milione di altri spunti. Descrive una vita in cui un giorno ricorda quasi esattamente un altro, pochissimi nuovi eventi e volti. Una vita in cui regna la routine e che sembra essersi fermata, così noiosa e monotona. È la sensazione che si ha assistendo all’ennesima, la numero 72 per la precisione, edizione del festival di Sanremo.
Passano gli anni e sembra di rivedere sempre lo stesso spettacolo. Tutto si ripete: le solite gag di Fiorello sul “non volevo venire” e sulla vecchiaia, la finta sorpresa di Amadeus, l’attrice-valletta, dirigenti Rai e parenti a far bella mostra di sé in prima fila, attori che si autopromuovono, una maratona tv noiosa e stancante. Un baraccone dove a Rai1 e al conduttore interessano l’audience, ai cantanti i look, e le canzoni e la musica sono un fattore relativo.
Dopo anni passati a invocare con supercilioso vittimismo un’incursione di elicotteri stile Apocalypse Now su una kermesse musicale da Terzo Mondo (nei cui Paesi, in realtà, si fa un sacco di musica fighissima), anche i radical più chic si sono dovuti arrendere: ha vinto il Festival. E gli ascolti, in netta ripresa rispetto allo scorso anno e in linea con la prima edizione Amadeus-Fiorello del 2020, sono la conferma che moriremo sanremesi. Così come moriremo democristiani.
Non a caso il trionfo del festival di Amadeus – conduttore abile e affabile e senza manie di protagonismo, Mariano Rumor ibridato con un animatore Valtur – si celebra insieme a quello della conferma al Quirinale di Sergio Mattarella, ex luogotenente di Ciriaco De Mita, sinistra dc. D’altro canto, in tempi di pandemia, tamburi di guerra e incertezze economiche, si cercano rassicurazioni. Oltretutto Mattarella è stato un ottimo presidente super partes.
Il problema è che una politica che pretende di fare del rinnovamento la sua carta migliore e che poi è costretta a ricorrere agli allievi di De Mita o di Forlani è una politica inconsistente. Discorso che vale anche per la Rai, che non trova di meglio rispetto al soldatino Amadeus, e per il Festival. La scorsa edizione, con la vittoria dei Måneskin e i quadretti di Achille Lauro, avrebbe potuto segnare una svolta. Il calo degli ascolti ha fatto paura a tutti. Avanti, allora, con la Dc. Avanti con Gianni Morandi, Massimo Ranieri, Iva Zanicchi che non possono dare più alcun contributo alla canzone italiana (se non agli ascolti di una vecchia tv generalista). Avanti con la canzonetta “usa e getta” delle meteore del momento. Avanti (o indietro?) con un altro “giorno della marmotta”.