Musica, teatro, danza. Al castello dell’Acciaiolo a Scandicci, nuova edizione di Nutida. Partecipo allo spettacolo “Impulso” (azione improvvisativa per un musicista e una comunità di danzatori) ideato con musiche dal vivo da Francesco Giomi. Mi siedo in un angolo. Prendo il taccuino, in attesa di immergermi in un mondo di suoni e gesti. C’è un istante di silenzio. Poi sento una voce fuori campo: è piana, semplice, modesta. Intuisco che a pezzi, a brani, in modo disarticolato racconta una storia, la nostra storia. Quella del nostro presente, della nostra difficile contemporaneità, dei nostri drammi e disastri ma anche delle nostre fragili euforie. È alla ricerca di un perché.
Dei giovani sono immobili sulla scena. Attendono il loro tempo, il loro momento per esistere. La voce tace. Una campana suona. È un richiamo a un cominciamento. I giovani iniziano a danzare, al ritmo di un mix di voci e strumenti (oggetti sonori, giocattoli, dispositivi digitali, computer, programmi, macchine elettroniche manuali, una radio analogica). Il loro, però, non è un semplice ballare: al contrario vivono, danzano in sintonia con gli impulsi sonori. Movimento, danza, impulso e suono sono una sola cosa (tensione, contorsione, incontro, abbraccio, legame, energia che si sviluppa e passa da un corpo all’altro, in un legame che vive di vibrazioni, sonorità rapide e imprevedibili ma anche di attesa, stasi).
I corpi dei ballerini sulla scena sembrano onde che si diffondono nell’aria secondo diverse modulazioni. Come per magia i suoni si materializzano in gesti contratti, in pose tese, intermittenti, a tratti spezzate, vorticose, in fremiti interrotti. In ogni moto c’è un richiamo a un cosmo fatto non di armonia ma di tonfi, cadute, a volte di risonanze metafisiche, che muove l’esistenza delle figure che affannosamente danzano sulla scena. Le loro sono vite legate alla terra. Sono segnate dall’impossibilità di trovare una completa sintonia con il tutto. Non possono slanciarsi verso l’alto.
Sono uomini e donne condannati a errare, a inseguirsi e a fuggirsi, in una ricerca vana ma anche in una lotta acerrima di ritmi nervosi, compulsivi, in un crescendo fino a un momento di pienezza. È un istante tutto terreno, in cui possono liberare la forza primigenia che li abita, in cui possono incontrarsi in una totalità non per questo meno drammatica, fatta di tensione e lotta per sconfiggere la parte più oscura che abita il loro cuore. Lotta e tensione per giungere alla gioia, per addomesticare il demone, per abbandonarsi a un danza che risveglia la parte del loro essere più autentica e vera, cioè quel qualcosa di profondamente vitale che li aiuta a vincere il male e a entrare in relazione con gli altri, in una sintonia che sarebbe diversamente impossibile.
“Impulso” è uno spettacolo altamente poetico, suggestivo, ipnotico ma anche tragico e liberatorio. Nell’apparente minimalismo dei costumi e della strumentazione, fatta di contaminazione dei linguaggi, c’è tutta una complessità dove singoli gesti e azioni evocano continui richiami simbolici e propongono una lettura sensibile e intelligente della nostra contemporaneità, delle sue contraddizioni e idiosincrasie, della riduzione dell’umano a macchina, a schegge impazzite senza senso. La via d’uscita però c’è: è nell’improvvisazione collettiva, nella costruzione come avviene nell’arte di nuovi rapporti umani basati non sull’autorità ma sulla libertà e la condivisione reciproca.