Rispetto dell’integrità territoriale di tutti i Paesi, quindi anche dell’Ucraina, come base di un futuro negoziato. E quindi ritiro delle truppe russe dai territori che hanno occupato. È questo il principio fondamentale del comunicato finale del vertice sulla pace in Ucraina conclusosi ieri a Burgenstock, in Svizzera.
Vertice intitolato ufficialmente «sulla pace» e non «per la pace», e non a caso. Nessuno pensava che questo summit internazionale, al quale hanno partecipato una novantina di Paesi, avrebbe partorito un accordo per fermare la guerra in Ucraina. La dichiarazione finale, infatti, ha sottolineato che la Carta delle Nazioni Unite, inclusi i principi di rispetto dell’integrità territoriale e della sovranità, deve essere la base per una pace duratura. Ottanta delegazioni hanno firmato il comunicato, mentre alcuni Paesi in via di sviluppo, come India, Messico, Arabia Saudita, Sudafrica, Thailandia, Emirati Arabi Uniti e Brasile, non hanno aderito.
Alla vigilia del summit, Vladimir Putin ha presentato una proposta di pace, chiedendo a Kiev di ritirare le truppe dalle regioni annesse dalla Russia. La risposta del vertice è stata chiara: l’integrità territoriale dell’Ucraina non è negoziabile. Zelensky e Von der Leyen hanno respinto l’offerta, definendola un ultimatum inaccettabile.
Il concetto di intangibilità delle frontiere di uno Stato nasce anche dalla constatazione che l’incertezza sui confini e la loro violazione per atto di forza hanno causato i peggiori conflitti e le più tragiche violazioni dei diritti umani. Il territorio dello Stato si è identificato sempre più con l’appartenenza di un popolo a una Nazione. Resta però un elemento irrinunciabile di diritto pubblico.
A volte, il principio di “salvaguardare l’integrità territoriale” di una nazione potrebbe essere percepito esclusivamente come un’utile giustificazione per interdire, limitare o ritardare il rispetto di un altro principio, quello di “autodeterminazione dei popoli”. Principio anch’esso riconosciuto dal Diritto Internazionale ma che spesso la Comunità Internazionale sembra sacrificare alle ragioni della real-politik e al mantenimento comunque dello status quo.
La dottrina è ormai concorde nel definire l’autodeterminazione come un principio di espressione della libertà di scelta del regime politico, economico e sociale ma, soprattutto, «la libertà di accedere all’indipendenza come Stato separato oppure di distaccarsi da uno Stato per aggregarsi ad un altro». Tuttavia la definizione più completa pare sia contenuta nell’Atto finale di Helsinki del 1975. Infatti, nell’ottavo dei dieci principi cui gli Stati firmatari manifestarono l’impegno all’osservanza, si legge che «Gli Stati partecipanti rispettano l’eguaglianza dei diritti dei popoli e il loro diritto all’autodeterminazione, operando in ogni momento in conformità ai fini e ai principi dello Statuto delle Nazioni Unite e alle norme pertinenti del diritto internazionale, comprese quelle relative all’integrità territoriale degli Stati. In virtù del principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli, tutti i popoli hanno sempre il diritto, in piena libertà, di stabilire quando e come desiderano il loro regime politico interno ed esterno, senza ingerenza esterna, e di perseguire come desiderano il loro sviluppo politico, economico, sociale e culturale».
Ovviamente, destinatari dell’obbligo di rispetto dell’autodeterminazione sono i singoli Stati membri delle Nazioni Unite, che sono parimenti titolari del medesimo diritto. La Corte Internazionale di Giustizia ha ammesso come il principio di autodeterminazione dei popoli abbia natura consuetudinaria, applicando lo stesso solo a situazioni di dominazione coloniale, apartheid, occupazione straniera. Assume ora rilievo capire la portata del principio di autodeterminazione dei popoli tentando di comprendere in quali casi lo stesso possa applicarsi. Il principio di autodeterminazione dei popoli deve infatti essere contemperato con le esigenze di tutela dell’integrità territoriale, al punto tale che si è pervenuti ad ammettere che qualora «uno Stato si sia reso autore di una serie di gravi e massicce violazioni dei diritti dell’uomo in danno di un gruppo d’identità infrastatuale, che solitamente si accompagnano alla negazione di ogni diritto di autodeterminazione interna, le esigenze di autodeterminazione prevalgono su quelle di confine».