Sembrava tutto fatto, una faccenda quelle delle nomine Ue da chiudere il prima possibile, magari entro il 18 luglio a Strasburgo col voto di fiducia dell’Eurocamera. A puntare alla riconferma di Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione, dalle informazioni trapelate nei giorni scorsi da Bruxelles, era soprattutto il Ppe. Ed è invece proprio dal Partito Popolare che arriva la prima crepa sulle fondamenta dell’accordo con Socialisti e liberali di Renew Europe.
Tutto rimandato al 27 e il 28 giugno, durante il primo incontro formale del Consiglio Europeo, in cui queste nomine dovrebbero essere votate. Secondo il sito Politico, lo stallo si sarebbe verificato quando i leader che appartengono al gruppo del Partito Popolare Europeo, il più grande al Parlamento Europeo, avrebbero chiesto non solo di poter eleggere nuovamente Ursula von der Leyen alla presidenza della Commissione e Roberta Metsola a quella del Parlamento Europeo (entrambe sono esponenti del Ppe), ma anche di dividere con il gruppo dei Socialisti (S&D) la presidenza del Consiglio Europeo: secondo le indiscrezioni degli scorsi giorni, questo incarico sarebbe dovuto andare per cinque anni all’ex primo ministro portoghese Antonio Costa, ma il Ppe avrebbe chiesto che uno dei due mandati, di 2,5 anni, fosse assegnato a un politico o una politica del loro gruppo. I leader e i negoziatori dell’S&D non sarebbero stati contenti della proposta, dato che era il loro turno di eleggere la presidenza del Consiglio, e avrebbero quindi bloccato la discussione.
È abbastanza normale che i principali gruppi del Parlamento Europeo influenzino le nomine ai principali incarichi: il presidente della Commissione Europea per esempio viene sempre scelto dal gruppo che ha preso più voti alle elezioni europee, che da diversi anni è il Ppe, ma di solito gli incarichi vengono divisi anche con gli altri gruppi con cui poi il Ppe si allea, specialmente l’S&D.
Nonostante il mancato raggiungimento di un accordo sembra però che si sia consolidato un consenso attorno ai nomi di von der Leyen, Metsola e Costa, oltre che a quello della prima ministra dell’Estonia Kaja Kallas come Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di sicurezza, ossia il capo diplomatico dell’Unione.
Nonostante la percepita generale volontà di raggiungere un accordo il più velocemente possibile, questo incontro si è svolto in un contesto molto diverso da quello di cinque anni fa. Sempre più stati membri dell’Unione Europea sono guidati da capi di stato appartenenti a partiti di estrema destra non europeisti e nel 2019 i negoziati erano stati principalmente guidati da quella che allora era la cancelliera tedesca Angela Merkel, una dei leader più importanti della storia recente dell’Unione Europea, con Emmanuel Macron. Entrambi al tempo avevano un’influenza politica che ora non ha nessuno al momento. Nel 2021 Merkel ha smesso di fare politica e ora la Germania è guidata dal cancelliere Socialista Scholz, il cui partito è arrivato terzo alle elezioni europee con appena il 13,9 per cento dei voti. Anche la posizione di Macron non è più quella di un tempo: alle elezioni di giugno il principale partito di estrema destra francese Rassemblement National ha preso più del doppio dei voti del suo partito: questo risultato ha convinto Macron a indire elezioni anticipate in Francia, che si terranno il 30 giugno e il 7 luglio, proprio durante i lavori di composizione dei nuovi organismi dell’Unione Europea.