Chi aveva qualche speranza sulla possibilità di assistere ad una campagna elettorale diversa dalle precedenti, magari basata sui contenuti e su toni pacati e riflessivi, dovrà probabilmente ricredersi considerati i primi spettacolari fuochi d’artificio che le forze politiche hanno sparato negli ultimi giorni. Tra promesse mirabolanti, programmi elettorali in parte scopiazzati, spauracchi agitati al vento come fossero cenci sbrindellati tanto da evocare il sempreverde, o “semprerosso”, pericolo dei “comunisti”, parametro intramontabile per misurare i pericoli a cui si espone la nostra fragile Repubblica, la prima vittima ha già un nome ed un cognome, Orietta Berti. La gravissima colpa della cantante nostrana sarebbe stata, a detta di alcuni esponenti PD, l’affermazione secondo cui avrebbe votato M5S il 4 marzo dando fra l’altro a Luigi Di Maio del bel ragazzo. Finché la barca va lasciamola andare insomma, nella speranza che non affondi sotto il peso del grottesco trascinando con sé l’intero Paese.
LA LEGGE N. 28 DEL 2000. È proprio questo il riferimento principale della norma che prescrive un equo accesso di tutte le forze politiche ai mezzi di informazione sia in periodi di campagna elettorale, dove le regole sono più ferree, sia in periodi privi di siffatte circostanze. Il principio generale su cui si basa la normativa è quello del pluralismo, tutte le forze politiche devono essere trattate con la stessa dignità e devono avere almeno in partenza le stesse possibilità di accedere ai servizi di informazione affinché venga loro garantita una parità di chances di successo nella competizione elettorale di riferimento. La normativa distingue tra “programmi di comunicazione politica”, come le tribune elettorali, e “programmi di informazione”, come telegiornali e talk show. Mentre nei primi la distribuzione degli spazi deve avvenire con precisione “scientifica” durante la par condicio, nei secondi è ammessa un pizzico di elasticità in più essendo altrettanto rilevante il principio di libertà d’informazione. Le due autorità responsabili sono la Commissione di Vigilanza Rai che regolamenta le emittenti del servizio pubblico e l’AGCOM che regolamenta le emittenti private. Sull’eventuale violazione delle regole stabilite è però soltanto l’AGCOM in qualità di autorità garante che ha l’ultima parola. È chiaro che al principio del pluralismo vada associato quello della rappresentatività delle forze politiche nel misurare il rispetto o meno della par condicio. È impensabile immaginare, infatti, che un partito che rappresenta l’1% dell’elettorato possa pretendere di godere degli stessi spazi di un partito che rappresenta il 30% degli elettori. La normativa guarda molto anche alla qualità della conduzione del programma relativa alla sua imparzialità nei confronti degli ospiti presenti. Trasgredire i principi della par condicio può portare ad un provvedimento dell’autorità Garante che disponga il ripristino dell’equilibrio ed il pagamento di una sanzione pecuniaria nei casi più gravi.
ALLE PRESE CON LA PAR CONDICIO. Come si è detto all’inizio, la par condicio, pur basandosi su presupposti di indubbia equità, rischia di diventare una clava nelle mani della forza politica di turno pronta ad interpretarla a proprio uso e consumo. Immaginare che le dichiarazioni di Orietta Berti ad un programma radiofonico satirico come “un giorno da pecora”, tra una battuta e l’altra, possano costituire una violazione della Par Condicio sembra quantomeno esagerato. Si rischia di scadere in situazioni che hanno i contorni del grottesco. La legge in questione non è particolarmente amata dai giornalisti e dai politici, lo si diceva all’inizio di questo articolo. Qualche giorno fa il direttore de “Il Giornale”, Alessandro Sallusti, definiva le azioni dell’AGCOM come «una cosa da ubriachi» e la legge sulla par condicio come «la morte del giornalismo». «A questo giro c’è però una novità. Il garante per la comunicazione – uno dei tanti enti inutili nati per complicare le cose e distribuire stipendi importanti – ha deciso che anche i giornalisti che partecipano ai dibattiti dovranno “dichiarare la propria posizione” ed essere quindi affiancati da colleghi che la pensano diversamente. Chi ha scritto questa norma o era ubriaco o non sa di cosa sta parlando – afferma Sallusti – Cosa si intende per “dichiarare la propria posizione”? Spero non l’intenzione di voto, che la Costituzione garantisce libero e segreto. E allora quale posizione? Un giornalista, per definizione, ha la sua di posizione, che può coincidere per nulla, in tutto o in parte con quella dei politici o degli altri colleghi presenti al dibattito. Secondo quel genio del Garante, se io e Travaglio ci troviamo insieme in un dibattito e non diciamo a prescindere cose opposte incorriamo in una violazione di legge, immagino sanzionata per noi e per l’emittente che ci ospita, perché non abbiamo garantito il “pluralismo” degli ospiti. È proprio vero che la madre dei cretini è sempre incinta». Dichiarazioni, quelle di Sallusti, sulla stessa falsariga di quelle che nel 2013 portarono Silvio Berlusconi a dire che L’Italia rappresentava l’unico paese al mondo ad avere una legge sulla par condicio.